Pil e occupazione frenano Siamo già tutti più poveri

La crescita rallenta mentre aumentano i senza lavoro e l'inflazione cresce. Tria deve trovare 12,4 miliardi

Pil e occupazione frenano  Siamo già tutti più poveri

Il motore si è piantato ma, purtroppo per il ministro Giovanni Tria, non ha un «gran genio» per amico che «saprebbe cosa fare». Il Pil nel secondo trimestre, secondo i dati preliminari dell'Istat, ha rallentato, aumentando solo dello 0,2% su base trimestrale e dell'1,1% (+1,2% il consensus degli analisti) rispetto al 2017. Se nei due trimestri successivi vi fosse crescita zero, il Pil si fermerebbe a un misero 0,9% ma, poiché il secondo semestre è generalmente vivace, si può ancora raggiungere un +1,1/+1,2% a fine anno, il +1,3% al massimo. Comunque al di sotto dell'1,4% fissato nel Def e che molto probabilmente dovrà essere rivisto nella Nota di aggiornamento.

Questo andamento conferma la difficoltà per il titolare del Tesoro nell'impostare una manovra che possa minimamente tener conto delle promesse gialloverdi, visto che i 12,4 miliardi per disinnescare gli aumenti Iva devono comunque essere trovati. Ieri l'Istat ha presentato altri due dati fortemente negativi. Il tasso di disoccupazione a giugno è risalito al 10,9% (10,7% a maggio) e quello relativo ai giovani ha segnato un rialzo al 32,6% (31,1% il precedente). Ci sono due fenomeni da non sottovalutare. In primo luogo, la tenuta dell'occupazione è garantita dai contratti a termine (3,1 milioni, +394mila in un anno), mentre su base mensile sono aumentati i disoccupati over 50, segno che la Fornero comincia a mostrare segni di usura.

Ultimo ma non meno importante il dato sull'inflazione che è salita ulteriormente all'1,5% a luglio dall'1,3% di giugno in virtù dell'incremento dei prezzi energetici e alimentari (pasta e vino in particolare). Il ministro Tria si ritrova in lande purtroppo conosciute agli economisti italiani: crescita fiacca, mercato del lavoro senza direzione e inflazione tendente al rialzo con conseguente minaccia sull'evoluzione dei consumi. «Il 2017 aveva conferito nuova energia al sistema economico che non è stata adeguatamente sfruttata», ha commentato Lucio Poma, responsabile scientifico di Nomisma che sottolinea come vi siano «scommesse, energetiche, logistiche e di filiera produttiva internazionale che non possono essere giocate con localismi che rischiano di emarginare il Paese».

Il governo Conte non è responsabile diretto di questi dati, tuttavia è chiaro come la «linea Di Maio» non possa che portare a un rapido peggioramento della situazione. Ad esempio, limitare i contratti a termine non creerà occupazione stabile ma convincerà le aziende a usare forme ancor più precarie vista l'evoluzione incerta dell'economia. Dire no alle infrastrutture significa ritardare investimenti che potrebbero aiutare la crescita visto che finora è stata la domanda interna a sostenere il Pil negli ultimi mesi e l'impennata dei prezzi al consumo non garantirà la prosecuzione del trend. Tanto più che anche il Pil di Eurolandia è in frenata (da +2,5% a +2,1%) a causa della crisi innescata dai dazi nel commercio globale.

Confcommercio è già allarmata dall'inizio di «una fase meno favorevole, con riflessi negativi sulle già deboli dinamiche dei consumi». La Cgia di Mestre ha ribadito l'appello a «uno choc fiscale» e una ripresa degli investimenti pubblici.

Con 25 miliardi (Iva, maggiori interessi sui Btp e spese indifferibili) già virtualmente impegnati per la legge di Bilancio 2019, la richiesta è destinata a rimanere nel libro dei sogni. Così come la dual tax e il reddito di cittadinanza.

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