L'Italia non cresce e il debito pubblico, di conseguenza, diventa terrificante. Ieri l'Istat ha rivisto al ribasso le stime di crescita relative al primo trimestre: il Pil italiano è salito dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti (+0,2% nella release del 30 aprile) mentre è calato dello 0,1% su base annua (+0,1% la precedente previsione, come non accadeva dal quarto trimestre del 2013. L'istituto di statistica lo ha definito un «andamento stagnante» anche perché la crescita acquisita (quella che si registrerebbe se i successivi tre trimestri del 2019 fossero piatti) è zero, a fronte del +0,1% di aprile. E lo scenario rischia di peggiorare significativamente considerato che l'inflazione è in frenata. La crescita annua dell'indice dei prezzi al consumo a maggio ha rallentato allo 0,9% a fronte del +1,1% di aprile, ritornando così sui livelli dello scorso gennaio.
E il mercato dell'Italia sembra non fidarsi più come prima. Lo spread con il Bund decennale ieri si è attestato per larghi tratti sopra la soglia dei 290, con un picco a 294 sui massimi dall'inizio dell'anno per chiudere in rialzo a 286 punti. Sì, si tratta di fiducia perché in questo caso non è stato il rendimento del Btp a impennarsi (2,66%) ma quello dell'omologo germanico a calare toccando un minimo storico del -0,213 per cento. Cioè gli investitori internazionali preferiscono perdere soldi pagando la Germania per tenere i propri soldi piuttosto che scommettere su qualche altro titolo. È il clima globale di incertezza a favorire i beni rifugio come l'oro che ormai si avvicina a 1.300 dollari l'oncia. Ma questo scenario penalizza i Paesi che non hanno disciplina di bilancio come l'Italia che ormai è considerata alla stregua della Grecia. Nel corso della seduta si è consumato il temuto sorpasso del quinquennale greco sul Btp a cinque anni, mentre il Btp biennale è l'unico tra i maggiori Paesi europei a offrire un rendimento positivo.
Non è un caso che il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, abbia ricordato nel presentare le proprie Considerazioni finali i rischi che le impennate di rendimento delle obbligazioni pubbliche possono rappresentare per la crescita dell'economia. «Si stima che, senza tenere conto degli effetti negativi sulla fiducia di famiglie e imprese, rendimenti delle obbligazioni pubbliche di 100 punti base più alti determinino una riduzione del prodotto dello 0,7 per cento nell'arco di tre anni», ha evidenziato sottolineando che «limitarsi alla ricerca di un sollievo congiunturale mediante l'aumento del disavanzo pubblico può rivelarsi poco efficace, addirittura controproducente». Il rischio di una «espansione restrittiva», secondo il numero uno di Palazzo Koch non è da sottovalutare perché più deficit e più debito fanno salire lo spread determinando «l'aumento del costo dei finanziamenti» e abbattendo il valore dei titoli nel portafoglio delle banche.
In pratica, una bocciatura della flat tax in deficit che il governo gialloverde vorrebbe portare avanti. E anche un monito contro i revanscismi.
«Saremmo stati più poveri senza l'Europa; lo diventeremmo se dovessimo farne un avversario», ha sottolineato citando in conclusione Wittgenstein ed Elias Canetti in chiave antisalviniana. «Per chi risparmia, investe e produce le parole sono azioni e nell'oscurità le parole pesano il doppio», ha detto richiamando a un ideale senso comune di responsabilità. Che la politica rifiuta.
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