L'Italia esala un rigurgitino di crescita, un +0,2% nel primo trimestre (+0,1% su base annua), caccia il naso fuori dal pantano della recessione, ma resta stagnante e a rischio di scivolare di nuovo all'indietro nei prossimi mesi. Anche se il resto d'Europa non corre (crescita media dello 0,4%), e c'è materia su cui interrogarsi per Mario Draghi e la sua Bce, il bicchiere tricolore resta desolatamente vuoto di prospettive. Eppure, Luigi Di Maio suona la grancassa: «Domani (oggi, ndr) potremo festeggiare il primo maggio con dati positivi - esulta il vice premier -: l'Istat ci dice che l'Italia è fuori dalla recessione. La direzione intrapresa dal governo è quella giusta. Andiamo avanti come un treno verso il cambiamento». Oltre a palesare qualche conflitto con ancora recenti pronunciamenti, quando la crescita da zerovirgola veniva bollata dal leader del M5s come un sussulto asfittico, tanta euforia suona un po' illogica. Anche se sembra far parte del refrain governativo, riprodotto anche dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, secondo il quale «l'Italia cresce confortata dalla nostra politica economica». Meno trionfalistiche le parole dell'altro vice premier, Matteo Salvini, che però pare voler passare all'incasso: «I dati positivi sul Pil, sul lavoro e sulla ripresa economica impongono al governo una doverosa e sostanziale riduzione delle tasse. È obbligatorio realizzare al più presto la flat tax, come da contratto di governo, senza dubbi o ritardi». Un desiderata che rischia però di incrociare il fuoco di sbarramento di Giovanni Tria. «Non è possibile abbassare le tasse, far crescere la spesa e tenere l'Iva ferma», avverte il ministro dell'Economia.
Occorrerà quindi fare delle scelte. Nella consapevolezza che le risorse finanziarie scarseggiano e che non si può fare leva su maggiori entrate tributarie (se non aumentando in modo impopolare le imposte) a fronte di un Pil che resta sostanzialmente anemico e ben sotto (di oltre il 4%) i livelli cui si attestava prima della crisi dei mutui subprime del 2008.
D'altra parte, è opportuno capire cosa ha generato la crescita tra gennaio e marzo. Dai dati Istat appare chiaro come sia stato determinante il contributo dell'export. Merito delle nostre imprese, agevolate anche da un deprezzamento dell'euro nei confronti del dollaro. Manca, invece, ancora un apporto sostanziale della domanda interna, segno che i consumi stentano a ripartire. Per più motivi. In Italia il tasso di disoccupazione rimane molto alto. Non basta il calo registrato nei primi tre mesi dell'anno, dal 10,5 al 10,2%, con la componente giovanile che si porta sui minimi da agosto 2011 al 30,2%, per colmare il gap che ci separa dalla media Ue (7,7%) e che ci colloca al terzultimo posto davanti solo alla disastrata Grecia (18,5%) e alla Spagna (14%). I segnali di restringimento del credito in Europa verso famiglie e imprese, sintomo dei timori delle banche a causa di un ciclo economico complessivamente debole, rischiano di peggiorare la situazione. E di rendere problematico mantenere un passo di crescita, seppur debole, nel secondo trimestre. Un eventuale aumento dell'Iva sarebbe poi mortale per la capacità di spesa dei consumatori.
La Confesercenti mette non a caso in guardia il governo, ricordando che un inasprimento delle aliquote vanificherebbe «il debole recupero di attività osservato in questo primo trimestre dell'anno». Ma già l'attuale andamento dell'inflazione pesa come un macigno sulle tasche degli italiani, con un aggravio annuo misurato da Federconsumatori in circa 325,60 euro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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