Politica

Le pistole scariche di Lega e 5 Stelle

I grillini ormai sono senza piano B, mentre il Carroccio in Sicilia non sfonda. Così il voto si allontana

Le pistole scariche di Lega e 5 Stelle

Previsioni sul futuro dell'«anima governativa» dei 5stelle. Lunedì nel tardo pomeriggio, nel bel mezzo di piazza del Parlamento, Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri, reduce da un'aula di Montecitorio semideserta sul caso Regeni, si lascia andare a una lectio magistralis sul pragmatismo in politica. «Sul caso Regeni il Parlamento fa il suo lavoro, ma non penso che si caverà un ragno dal buco: gli egiziani, quando sono in ballo i loro servizi segreti, non muovono un dito e di qua ci sono gli interessi economici. Parlatene con l'Eni, con De Scalzi. In politica bisogna essere pragmatici: Siri non si dimette da sottosegretario? Per noi resta un ottimo argomento di campagna elettorale. Intanto fino al 27 maggio andrà avanti così, poi tornerà tutto normale: a rompere con i leghisti, non si rompe». Più che un grillino, sembra di sentir parlare un andreottiano di grande esperienza, quella particolare specie di democristiani che una volta superavano con una certa disinvoltura la sottile linea rossa che divide il pragmatismo dal cinismo. È fatale: dopo dieci mesi di governo la metamorfosi arriva a compimento e anche il più convinto movimentista scopre il fascino più o meno discreto della poltrona. Francesco D'Uva, presidente dei deputati pentastellati, da personaggio concreto, arriva alle stesse conclusioni. «Litigheremo ancora un po' con i nostri partner di governo - confida - ma prima delle Europee la situazione si assopirà. Noi continueremo a chiedere le dimissioni di Siri, ma andremo avanti con questa maggioranza. Anche perché noi grillini un piano B non lo abbiamo e non penso che lo abbia neppure Salvini: sarebbe pazzo a tornare con Berlusconi». Magari uno può pensare che la sicumera con cui i grillini di governo escludono crisi ed elezioni anticipate, sia solo il risultato di un training autogeno e che la realizzazione di quel desiderio sia tutta da verificare. Ma se giri ancora per il Palazzo e ti imbatti anche in qualche personaggio dell'opposizione, ti accorgi che quella è una previsione comune che ha pure una sua spiegazione. «Le elezioni siciliane - è l'analisi di Dario Franceschini, uno dei consiglieri di Zingaretti - dimostrano che la Lega non sfonda, mentre i grillini sono crollati ma non andranno sotto il 20%. Per cui è naturale che vadano avanti così. E a noi fa pure comodo. Quando decideranno di cambiare gioco saranno messi entrambi ancora peggio».
Va a vedere che quella fatidica data che secondo la «vulgata» politica dovrebbe cambiare il mondo, lo spartiacque che molti indicano tra presente e futuro, cioè il 27 maggio delle elezioni Europee, alla fine cambierà poco e niente. Forse si tratta solo di una sensazione precipitosa, ma molti elementi inducono a pensare che il voto europeo, invece, di provocare una sorta di Armageddon nella politica italiana, in realtà si riveli una «pistola scarica». Intanto il laboratorio siciliano ha dimostrato che lo scenario politico è in pieno divenire: nell'isola Salvini ha avuto un successo misurato; la parabola negativa grillina ha avuto un'altra puntata; e, addirittura, la sperimentazione politica ha fatto prevalere nell'unico capoluogo di provincia in cui si è votato, Caltanissetta, un centrodestra senza Lega, mentre in alcune cittadine Forza Italia e Pd si sono ritrovati insieme. Insomma, la confusione regna sotto il cielo. I sondaggi, poi, segnalano in questa settimana una flessione sia della Lega, sia dei grillini: è la dimostrazione che litigare oltre un certo limite, non paga. Ancora: in questo primo mese di campagna elettorale con i loro ultimatum, insulti, minacce e proposte che non si possono rifiutare, leghisti e grillini hanno sputtanato non solo «i fatti» (che sono stati pochi), ma anche le parole. Ad esempio, l'economia secondo l'Istat va un pochino meglio: il Pil nell'ultimo trimestre è cresciuto dello 0,2%. «Solo che da quando un personaggio vicino alla Lega è al vertice dell'Istat - osserva Davide Bendinelli, coordinatore forzista in Veneto - i dati sono diventati come il chewing gum, li tiri da una parte e dall'altra». Ma, al di là delle insinuazioni, il miglioramento non cambia la situazione: il ministro Tria avverte che non è possibile abbassare le tasse, far crescere la spesa e tenere l'Iva ferma tutto insieme. Il premier Conte ha confermato: «Non è il momento di parlare di riforma fiscale». Ergo: dato che il reddito di cittadinanza è già legge, Salvini è stato buggerato, la flat tax resterà un sogno, suo e di Siri.
A proposito di Siri. Altre minacce, altri ultimatum. Di Maio ha rassicurato i suoi: «Vedrete che si dimetterà per sua autonoma decisione». Anche qualche leghista lo dice. Ma se poi vai a scavare nel governo non appare tutto così scontato. Nel vis-à-vis dell'altra sera Conte avrebbe consigliato il «dimissionando» solo di tenere «un basso profilo». Il ministro dell'Economia, Tria, è stato addirittura tranchant: «Non ci si dimette per un avviso di garanzia». E nel Carroccio oltre all'ira di Salvini, ci sono i dubbi di una classe dirigente che si sente nel mirino di una certa magistratura: se Siri si dimettesse solo per un avviso di garanzia - è il dilemma - si creerebbe un precedente. «Se si accetta l'idea - sostiene il sottosegretario al Mef, Massimo Bitonci - che uno dovrebbe dimettersi solo perché è tirato in ballo da un'intercettazione che riguarda terzi, allora bisognerebbe sapere che può capitare a tutti quelli che sono al governo. Io incontro tutti i giorni gente che mi illustra dei problemi da risolvere, e magari, se fa ragionamenti convincenti, posso immaginare anche di prendere iniziative di legge per risolverli. E allora? Il problema dei grillini è che fanno solo campagna elettorale». «Le dimissioni sono una follia», rincara il presidente dei deputati leghisti, Molinari: «Ma ti pare che uno debba lasciare il suo posto perché in una conversazione due tipi lo tirano in mezzo!? Diverso è se Siri decidesse unilateralmente di dimettersi per una sua valutazione politica».
Per cui alla fine, nel rispetto della tradizione gialloverde, la confusione è massima: c'è di Maio che dà per scontato il beau geste di Siri; i leghisti per nulla; Salvini è infuriato; mentre Siri resiste e attende indicazioni. Sembra di essere sulla Luna. Magari il sottosegretario in bilico è anche abituato, visto che fa parte di un'associazione olistica, Spazio-pin, che, tra i tanti fini, si propone anche quello di preparare «l'accoglienza degli extraterrestri». Il risultato è che tutto è fermo, in attesa che Siri riceva istruzioni da Salvini o da un marziano.

Tutto è fermo, l'unica sicurezza, però, a sentire gli interessati, è che non ci sarà nessuna «crisi».

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