Milano Alla fine Fabrizio Corona è riuscito a convincere anche una «dura» come Alessandra Dolci, nuovo capo del pool antimafia della Procura di Milano: i soldi imboscati in una banca austriaca e nel controsoffitto della sua segretaria erano roba sua, dell'ex re dei paparazzi, e non il frutto di chissà quale affare criminale. Così ieri è la stessa Dolci a chiedere al tribunale che il denaro sequestrato venga restituito a Corona: decurtato dalle tasse non pagate per 750 mila euro, resta comunque un tesoretto da un milione e ottocentomila. Niente da fare invece per la bella casa di via de Cristoforis, comprata in buona parte con soldi sottratti alle sue società mandate in bancarotta. Di quella, il pm ha chiesto la confisca.
Corona si è opposto, «datela a me, la vendo e vi do il soldi»; ma difficilmente il tribunale potrà fidarsi. Ma più che sulla casa la vera partita si gioca sulla misura di sicurezza che il tribunale potrebbe rifilare a Corona, e che ridurrebbe al lumicino le sue possibilità di tornare libero in tempi brevi. Il suo difensore, Ivano Chiesa, ha spiegato che sull'ex di Belen e della Moric c'è una sorta di «nube tossica», una persecuzione giudiziaria.
«Ha fatto cinque reati in un anno e mezzo perché era fuori di testa, perché era un tossicodipendente»: da allora, giura l'avvocato, Corona è cambiato. Sbruffone, sciamannato, ma non cattivo. «La gente mi ferma per strada e mi dice: ma è ancora dentro? Possibile?».
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