Dovea essere "il giorno della memoria", nel ricordo della strage di via D'Amelio, avvenuta il 19 luglio di 22 anni fa. Ma è diventato il giorno dello scontro, l'ennesimo scontro tra magistratura e politica. Grande protagonista il pm Nino Di Matteo, "mente storica" dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, che ha preso di mira il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Ma vediamo subito le accuse, in primo luogo quella a Napolitano. "Non si può assistere in silenzio - ha detto il pm - al tentativo di trasformare il pm in un burocrate sottoposto alla volontà del proprio capo, di quei dirigenti sempre più spesso nominati da un Csm che rischia di essere schiacciato e condizionato dalle pretese correntizie e da indicazioni sempre più stringenti del suo Presidente". Poi la staffilata a Renzi (e indirettamente anche a Berlusconi): "Oggi un esponente politico, dopo essere stato definitivamente condannato per gravi reati, discute, con il Presidente del Consiglio in carica di riformare la legge elettorale e quella Costituzione alla quale Paolo Borsellino aveva giurato quella fedeltà che ha osservato fino all’ultimo suo respiro".
Alle durissime parole pronunciate dal magistrato arrivano a stretto giro le repliche del centrodestra. Luca d’Alessandro (FI) definisce il pm palermitano "esempio della parte peggiore della magistratura, che approfitta di ogni occasione per svolgere un ruolo politico", e Fabrizio Cicchitto (Ncd) che definisce Di Matteo "un mediocre imitatore di Ingroia. È inquietante che un tipo del genere abbia per le mani indagini delicatissime e ovviamente uno dei suoi scopi è quello di andare addosso al Presidente della Repubblica". Molto duro anche Andrea Mazziotti, di Scelta Civica, che invita il pm a indagare "seriamente e in silenzio".
Via D’Amelio, poco prima che Di Matteo intervenisse, è stata anche teatro di un abbraccio. L’abbraccio ostentato, che ha stretto Massimo Ciancimino, imputato di mafia e figlio di un mafioso di rango, e Salvatore Borsellino, fratello del magistrato assassinato. Due persone con storie distanti anni luce che si ritrovano vicine da quando Ciancimino jr ha cominciato a raccontare i segreti del padre, don Vito, le sue relazioni con pezzi delle istituzioni e delle forze dell’ordine e il suo ruolo nella cosiddetta trattativa Stato-mafia. "Sono uno dei pochi che ha il coraggio di venire qui", ha detto il testimone-imputato mostrando il braccio con tatuata la data del 19 luglio 1992, quando alle 16:58 un’autobomba imbottita di tritolo uccise Borsellino e gli agenti della sua scorta. E la presenza del figlio di don Vito non imbarazza nemmeno gli esponenti del movimento "Agende Rosse" che - rivelano senza esitazione - da Ciancimino jr hanno anche avuto una donazione in denaro.
L’organizzazione è stata molto più severa, invece, con gli esponenti delle istituzioni, invitati anche quest’anno a disertare le cerimonie. La presidente dell’Antimafia, Rosy Bindi, però si è presentata
538em;">in via D’Amelio (il capo della polizia Pansa aveva ricordato le vittime deponendo una corona alla caserma Lungaro). Ma quelli delle Agende Rosse l'hanno contestato voltandole le spalle e alzando il simbolo del diario scomparso di Borsellino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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