Il pm senza indagini da copertina diventato megafono dei giustizialisti

Il talento per la comunicazione l'ha trasformato in una star della televisione

Il pm senza indagini da copertina  diventato megafono dei giustizialisti

C'è un dialogo, in realtà un monologo contro di lui che è diventato un pezzo di storia televisiva. Francesco Cossiga, ormai presidente emerito, lo apostrofa con parole beffarde: «Faccia di tonno. I nomi esprimono la realtà. Lui si chiama Palamara come il tonno, la faccia da intelligente non ce l'ha assolutamente». Luca Palamara scuote la testa: «È molto offensivo». E Cossiga, al telefono, infierisce: «Mi quereli, mi diverte se mi querela». Maria Latella dagli studi di Sky nicchia e allora l'ex capo dello Stato spara il colpo finale: «Sei una bella donna e di gran gusto, non invitare magistrati con quella faccia alla tue trasmissioni per carità». Siamo nel 2008, nei giorni delle dimissioni del Guardasigilli Clemente Mastella, azzoppato da un'inchiesta giudiziaria, e Palamara è già una star della tv. L'astro nascente del partito dei giudici nell'ultima stagione in cui le toghe dettano l'agenda politica.

Mastella e Prodi, ma non solo. Gli scontri più cruenti sono quelli con Silvio Berlusconi, sempre accerchiato dalle indagini, in particolare quelle di Ilda Boccassini, con il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti.

Palamara, classe 1969, è il presidente della potente Associazione nazionale magistrati e spesso parla in coppia con il segretario dell'Anm, Giuseppe Cascini. Cascini appartiene all'ala sinistra della corrente di sinistra dei giudici italiani, Magistratura democratica, Palamara invece è targato Unicost, il grande contenitore moderato, ma questo elemento non è sufficiente a chiarirne la collocazione: la verità è che anche lui viene da Md e sta nell'area progressista della corrente, difficilmente distinguibile da Md, e contrapposta alla parte più conservatrice di Giacomo Caliendo e Antonio Martone.

Che si parli della prescrizione breve o degli articoli del Giornale sulla vita privata della Boccassini, che intanto ha scoperchiato la vicenda Ruby, Palamara è in prima pagina e sullo schermo, sempre pronto a rilanciare il verbo puro del giustizialismo italiano. È un continuo batti e ribatti, inevitabilmente anche un gioco delle parti ma non solo. Palamara, che come pm prima a Reggio Calabria e poi a Roma non ha mai condotto indagini da copertina e nemmeno fa parte dell'élite degli studiosi del diritto, ha un talento per la comunicazione e diventa il megafono di quella stagione burrascosa. Non avrà mai la popolarità dei Davigo, degli Spataro e dei Caselli, che peraltro sono della generazione precedente, ma acquista un posto di rilievo nella politica giudiziaria del Paese. Una carriera solida che prosegue al Csm e una vicinanza alla procura di Milano e al suo leader Edmondo Bruti Liberati, erede potente del rito ambrosiano dei Borrelli e dei D'Ambrosio, anche se l'epopea di Mani pulite è ormai solo un ricordo. Una contiguità ideale ma anche fatalmente la gestione del potere che parte da Palazzo dei Marescialli, attraversa le correnti e arriva fino alle poltrone più importanti del sistema giudiziario. Quando Alfredo Robledo si mette di traverso agli assetti della gloriosa macchina da guerra ambrosiana e si ritrova isolato e sotto accusa, è Palamara a scrivere una sentenza di condanna disciplinare che fa molto discutere.

Il clima nel Paese è cambiato. Le zuffe fra politica e magistratura non appassionano più come prima, ora dominano la crisi economica e il tema dei migranti.

Palamara è meno visibile, ma è tutta la corporazione in toga a non avere più l'appeal di prima sull'opinione pubblica. Quel che è accaduto dietro le quinte, se qualcosa di non lineare è avvenuto in un disinvolto game of thrones sulla linea di confine fra politica e magistratura nell'era renziana, ce lo dirà l'inchiesta di Perugia.

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