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Pnrr, l'impatto sul Pil sarà minore delle attese. Verso un decreto legge per accelerare il piano

Intesa-Bocconi: effetto sulla crescita a +2,5%. Convocata la cabina di regia

Pnrr, l'impatto sul Pil sarà minore delle attese. Verso un decreto legge per accelerare il piano

Il Pnrr non può più rappresentare l'elemento salvifico per la prosecuzione del trend di crescita del Pil italiano. Tuttavia i fondi della Recovery and Resilience Facility destinati all'Italia (191,5 miliardi di euro) possono attutire l'impatto del rallentamento globale purché l'Italia sia in grado di spenderli senza finire ostaggio dei vincoli della burocrazia.

Il quadro, molto preoccupante, è stato tratteggiato di recente da Intesa Sanpaolo e dalla Sda dell'Università Bocconi. L'impatto cumulato del Piano di ripresa e resilienza al 2026 è attualmente stimabile al 2,5%, un valore al di sotto del Def 2021 (+3,6%) e di quello di quest'anno (+3,2%). Ma soprattutto si tratta di un arrotondamento per eccesso considerato che la spesa dei fondi Ue si attesta, in base alla Nadef 2022, a 15 miliardi circa, un ammontare inferiore ai 22 miliardi inizialmente previsti per quest'anno. Questo significa che occorrerà accelerare investendo 40,9 miliardi nel 2023, 46,5 miliardi nel 2024, 47,7 miliardi nel 2025 e 35,6 miliardi nel 2026.

Se si pensa ai diversi livelli decisionali che impongono a ogni opera pubblica superiore ai 100 milioni di euro una via Crucis che dura in media 15,7 anni (parola del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi), le speranze sono destinate a essere deluse. L'analisi di Intesa Sanpaolo e della Bocconi aggiunge ulteriori elementi che potrebbero frenare l'iter: a partire dall'inflazione galoppante che dovrebbe attestarsi attorno all'8% anche l'anno prossimo. Il vero pericolo, tuttavia, è rappresentato dall'incremento dei costi di produzioni che impattano negativamente sulla capacità di realizzare le opere previste (al di là della necessità di trovare un'intesa di maggioranza sulle riforme qualificanti che alla spesa dei fondi vanno abbinate). Non va trascurata, inoltre, la diminuzione del reddito disponibile (le famiglie del primo quintile più ricco sentono un'inflazione del 16% contro il 10% percepito da quelle più povere) e il progressivo aumento dei tassi di interesse che supereranno la soglia del 2% nella riunione della Bce di giovedì prossimo.

Una riflessione è d'obbligo. Ieri il Lussemburgo ha avuto l'ok della Commissione Ue alla revisione del proprio Pnrr, a fronte di una riduzione delle sovvenzioni da 93 a 82 milioni di euro. È, tuttavia, una cifra irrisoria se paragonata a quella italiana. La Germania, invece, ha notificato che uno degli obiettivi, la digitalizzazione delle ferrovie, sarà raggiunto in ritardo rispetto al termine del 2026.

E l'Italia? Basti pensare all'allarme lanciato ieri dalla Corte dei Conti. Sul piano per aumentare i posti disponibili negli asili nido e nelle scuole dell'infanzia di circa 264.500 unità il ritardo è notevole: al 31 marzo non erano stati ancora selezionati i progetti ammissibili a fronte di una spesa dedicata di 4,6 miliardi di euro.

Ecco perché il ministro per gli Affari Ue, Raffaele Fitto, che è titolare del dossier ha convocato una cabina di regia per venerdì prossimo per verificare quanti obiettivi rischiano di non essere raggiunti al 31 dicembre. Al termine della ricognizione si farà il punto sul piano in vista delle scadenze di fine anno. Solo se emergeranno obiettivi a rischio, secondo quanto si apprende, il governo procederà a stretto giro al varo di un decreto legge con le misure necessarie per consentire di raggiungerli. In caso contrario il provvedimento sarà emanato per gennaio.

Sulla modifica della governance del Pnrr (disseminata tra tre strutture) non è ancora stata presa una decisione definitiva.

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