«La prima difficoltà dell'Italia in Libia è quella di gestire un paese immenso abitato da popolazioni diverse che ci ostiniamo a tenere insieme. Il secondo è la carenza della nostra politica estera. Ci manca l'attenzione politico diplomatica indispensabile per gestire un dossier così complesso».
L'ex capo di Stato Maggiore alla Difesa e vicepresidente dell'Istituto Affari Esteri Vincenzo Camporini spiega così l'affanno di un'Italia che, in Libia, paga anche lo scontro con Parigi. «È evidente la Francia ha i propri interessi, ma la ricomposizione non può avvenire urlando ai quattro venti le proprie differenze. La ricomposizione richiede che ci si sieda in una stanza e si discuta. Questo approccio negli ultimi tempi è venuto meno».
È grave scordarsi di una Libia cuore di tanti interessi nazionali
«Questo purtroppo deriva dall'eccessiva preoccupazione e attenzione per gli affari interni da parte di chi sta al governo. Dimenticare quel che succede al di fuori dalle nostre frontiere ha conseguenze dirette ed immediate sugli affari interni. La tendenza a guardare al proprio ombelico tipica della politica italiana si è accentuata in maniera abnorme con l'ultimo governo».
Distrazione anomala visto che dalla stabilità libica dipende anche il problema migranti
«L'attenzione sul tema immigrazione si è focalizzata solamente sulle conseguenze interne senza l'elaborazione di un politica in grado di portare ad un controllo dei flussi migratori. Per controllarli bisogna muoversi con gli altri paesi trovando intese e dialogando su canali riservati».
Eravamo convinti di gestire una cabina di regia con gli Stati Uniti
«Con gli americani abbiamo molti conti aperti. Gli accordi commerciali con la Cina, assai poco graditi a Washington, sono solo il caso più recente. Prima ancora c'è la questione degli accordi sugli F35 che ci siamo rimangiati. Per non parlare della riduzione delle spese sugli armamenti. Abbiamo promesso di arrivare al 2 per cento entro il 2024 e invece siamo fermi all'1,1».
La cabina di regia era stata promessa a Conte
«Più che una promessa era una pacca sulle spalle. Gli Usa stanno abbandonando tutti i dossier per loro privi di priorità. Le priorità sono la Cina e il Pacifico. L'Africa è una grana che preferiscono lasciare agli europei. Peccato che gli europei, e soprattutto noi italiani, da soli non siamo in grado di cavarcela».
Quanto pesa l'isolamento in Europa?
«Pesa tanto, ma lo scontro con la Francia risale al governo Monti quando rifiutammo di mettere a disposizione i nostri aerei per la logistica della loro operazione contro le forze jihadiste in Mali. Il Parlamento aveva già dato l'assenso, ma Monti bloccò la disponibilità. I francesi non ce l'hanno mai perdonata. I tedeschi, mai troppo disponibili ad impegnarsi militarmente, capirono al volo e mandarono 800 uomini. Noi con quel rifiuto abbiamo compromesso i rapporti con Parigi».
Quindi come possiamo difendere i nostri interessi in Libia?
«C'è una competizione evidente tra Total ed Eni per lo sfruttamento delle risorse libiche, ma le aree d'interesse delle due compagnie non coincidono mentre ci sono grandi risorse ancora da sfruttare. Bisogna avviare dialoghi sotto traccia e facilitare un'alleanza d'interesse tra le due compagnie».
Quindi sarà l'Eni ad
occuparsi della nostra politica estera in Libia?«Non dico questo, ma certo l'Eni ha una visione strategica perché deve sempre guardare al lungo periodo. Per questo era e resta parte della nostra politica estera».
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