L a strada imboccata dal Regno Unito dopo il referendum sull'uscita dall'Europa è costellata di sconfitte: hanno perso gli europeisti, naturalmente, e con loro una certa idea di stabilità nazionale legata a un destino comune che oggi va poco di moda; hanno perso i conservatori, che con David Cameron si erano illusi di tenere a bada gli umori isolazionisti e che ora con Theresa May si trovano a gestire (ovviamente lacerati al loro interno) una linea non condivisa in nome del rispetto della volontà popolare; stanno perdendo (convinti di vincere) i laburisti, anch'essi spaccati quasi a metà e con un leader, Jeremy Corbyn, palesemente non all'altezza del compito e dell'ora; perfino i Brexiteers stanno perdendo, con l'incubo di un nuovo referendum che sembra poca cosa rispetto al disastro incombente di un'uscita senza regole dalla Ue che pure molti irresponsabilmente vagheggiano. E sui guai che questa situazione sta causando e causerà alla economia britannica è meglio stendere un velo, pietoso soprattutto verso quei geni anche nostrani che preconizzavano un roseo futuro dopo l'addio alla matrigna Bruxelles. Ma la vera grande sconfitta in questa amara vicenda è la politica. Sì, la politica, quella che le situazioni complesse è chiamata a gestirle e non a subirle: in una parola, a decidere. Partito con il piede sbagliato, con una premier scelta per portare avanti un progetto in cui non credeva, il governo May ha imboccato la via di una soft Brexit che scontenta tutti e che ha avuto come logico sbocco martedì sera la cocente umiliazione del voto largamente contrario a Westminster. Non sapendo più che fare, la premier cerca ora una improbabile correzione di rotta in corsa con la stella polare della sopravvivenza di un esecutivo nato morto, mentre prende vigore l'ipotesi catastrofica di un secondo referendum. Catastrofica perchè, se si verificasse, i politici altri non farebbero che ridare la parola al popolo dopo aver certificato la loro incapacità di gestire un problema politico che quello stesso popolo aveva loro affidato.
Peggio ancora, questa nuova chiamata alle urne avverrebbe con il sottinteso di un suggerimento su come votare: in modo contrario rispetto alla volta precedente. Inevitabile il disorientamento degli elettori. E ovvio poi che al disorientamento segua il discredito di una politica che non ascolta e che non decide. E mentre la sua credibilità affonda, i populisti ringraziano.
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