Le note di Colpa d'Alfredo attaccano puntuali alle 20,45 e arrivano come una specie di benedizione sui corpi ammassati e cotti dal sole. Finalmente comincia lo spettacolo, ne è valsa la pena. Viene ricompensato tutto quello spintonare, il caldo, la polvere, il sudore, la gente sdraiata chissà da quante ore su quel prato, con la pelle ustionata. Una babele di persone da cui per qualche attimo pensi di non uscire vivo. Non con 37 gradi. Eppure quelle note ti rimettono al mondo. La stanchezza di una giornata di attesa lascia il posto all'adrenalina. In 230mila da tutta Italia hanno lottato a zig zag per conquistarsi quel posticino, magari a mezzo chilometro dal palco, ma perfetto. Zainetto sulle spalle si comincia a saltare, tutti assieme, in una festa che esplode ma che è stata stampata per tutto il giorno sulla faccia della gente: su quelli arrivati a orde in treno, su quelli che bivaccano da giorni attorno al parco con le tende della Decathlon, su quelli che non si sono mai persi un concerto di Vasco ma «una cosa del genere non l'hanno mai vista».
Colpa d'Alfredo dicevamo, la canzone che ha consacrato Modena a città del rock. Sugli spartiti dagli anni Ottanta, nella realtà dall'ultima settimana. E i modenesi, ora si può dire, hanno saputo sostenere il ruolo di custodi del rock nel migliore dei modi. Almeno, quelli che sono rimasti in città. Ieri mattina si sono svegliati con le vie sotto casa assediate dal popolo del Vasco, un po' scettici, con l'espressione del «Dio ce la mandi buona». Ma già a metà mattinata la città capisce che la convivenza con quello strano popolo di almeno quattro generazioni di rockettari è più semplice del previsto. In centro ogni bar suona a rullo continuo gli album, da Fronte del palco in avanti. «Voglio una vita, la voglio piena di guai», canta da un balcone una signora sui settanta. Vuol far vedere che anche lei ne sa qualcosa di quel Blasco che ha messo sotto sopra ogni quartiere. «Signora, piace anche a lei Vasco?», «Più che altro diciamo che i guai ci sono sempre» e invita a mangiare un piatto di pasta. Qualcuno, nella zona pedonale, sfodera la chitarra e si siede sul marciapiede: è un attimo che scatti l'effetto «compagnia del mare» e ci si trovi a cantare Bollicine. Un paio di accordi ancora e poi ognuno per la sua strada, per completare quel percorso infinito e arrivare sotto al palco più grande di tutti i tempi. La città è blindata, non si vede un'auto e le transenne sono ovunque. «Tutto procede bene» commenta a metà pomeriggio un vigile di Bologna mandato a Modena fra i rinforzi ai varchi della città. La gente non è arrivata tutta in una volta sola, chi da giorni, chi al mattino, chi all'ora di pranzo. E quindi non si sono creati ingorghi, né in autostrada né attorno al parco Ferrari. Sia benedetto Internet, siano benedette le app: ognuno dei 230mila sapeva con esattezza cosa fare, dove andare. In pochi hanno vagato per cercare parcheggi di fortuna, quasi tutti avevano prenotato da casa il loro posto auto. Ogni area parcheggio è stata gestita fino a notte fonda da nutrite squadre di scout. A ogni incrocio i fans hanno potuto chiedere informazioni alla protezione civile o alla polizia urbana. Insomma, uno spiegamento di forze utile a non creare code da nessuna parte. Fino ai cancelli, dove la fila si è creata solo dopo le cinque.
Prima di poter accedere al prato di Vasco ogni fan attraversa una via crucis di sette varchi. Misure necessarie, nessuno si lamenta né disdegna le perquisizioni se serve a stare tranquilli e a evitare problemi. Primo varco: controllo del biglietto ma solo per verificare che l'ingresso sia realmente quello assegnato. Seconda tappa: smistamento fra area del Pit 2, più a ridosso del palco, o Pit 3, il settore più esterno. Terzo varco: primo controllo degli zaini, rigorosamente aperti, uno ad uno. Quarto varco: metal detector con qualche rallentamento sui controlli per sequestrare flaconi crema da sole, bottigliette con acqua ghiacciata o più grandi del mezzo litro e bottiglie di vetro. Infine la verifica dei biglietti, con scanner che ne registra la tracciabilità: è l'esperimento che lo staff di Vasco ha voluto tentare come estrema misura anti bagarini. E poi finalmente il braccialetto al polso che assegna il «girone» in cui infilarsi. Una volta all'interno del parco ognuno è abbandonato a se stesso, la confusione è tale che è dura trovare qualche addetto alla sicurezza. La gente dorme in costume da bagno tra cori di cicale e un caldo tropicale. Le zone sotto gli alberi sono il rifugio più ambito e si inganna l'attesa tra bicchieri di birra a 6 euro l'uno e bottigliette a 1,50. Bilancio della giornata: i malori per il caldo nel pomeriggio sono circa duecento, tutti soccorsi dai medici della Croce Rossa negli ambulatori gonfiabili. Nelle prime ore del mattino un 40enne romano è morto di infarto, si trovava in un camper all'esterno dell'area.
Col calare del sole si comincia a respirare. Dopo le sei sul fiume umano di Modena passa un elicottero. Non è quello dei controlli, è Vasco. L'attesa è quasi finita. Oggi sarà la giornata dedicata a far tornare Modena alla normalità. Va pulito quell'enorme parco Ferrari che ha ospitato il concerto del secolo. Gli addetti alla sicurezza hanno distribuito sacchi di plastica ai fans per raccogliere l'immondizia. E diciamolo, forse questo è stato l'unico appello che è andato del tutto inascoltato. L'erba non si vede nemmeno più talmente sono tante le cartacce, gli asciugamani persi o gettati, le bottiglie e i bicchieri di plastica ammucchiati ovunque.
Come è normale dopo la festa rock più grande di sempre.Nei prossimi giorni tutto tornerà alla normalità, le cicale del Ferrari saranno le uniche «artiste» dell'area, il laghetto verrà liberato dalle transenne e lo spazio dedicato ai giochi dei bimbi tornerà a funzionare.
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