La «banda di incapaci» al governo, come dice Giancarlo Giorgetti, i tre leader del centrodestra vorrebbero tutti mandarla a casa, ma divergono sull'exit strategy. Alla presentazione dell'ultimo libro di Bruno Vespa, «Perché l'Italia amò Mussolini» (Mondadori), Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi (in collegamento) spiegano le loro ricette in diretta streaming.
La leader di FDI è quella che più insiste sul voto subito e cita gli Usa per dire che il Covid non sospende la democrazia e durante le elezioni non c'è alcun vuoto di potere. Poi avverte: «Io non faccio accordi con Renzi, M5S, Pd».
Salvini esclude un accordo di unità nazionale, «non è un'ipotesi percorribile, non faccio un governo con chi smonta i decreti sicurezza», ma pensa a un esecutivo-ponte: «Governoni con dentro tutti no, un governo con pochi punti a programma, di centrodestra sì». Sui problemi concreti, dal lavoro alla sanità alla giustizia, per lui in Parlamento si troverebbe «ampia convergenza». Non «un governo Salvini», ma affidato ad una personalità di rilievo, estranea al centrodestra. Aleggia il fantasma di Mario Draghi. Berlusconi non si sbilancia, quando Vespa gli chiede qual è la sua prospettiva: «In caso di crisi ci rimetteremo alla saggezza del capo dello Stato, anche se vorremmo andare alle urne. Ma è inutile discuterne ora che ci sono ben altri problemi per l'emergenza».
Il moderatore Antonio Polito vuol sapere se sarebbe così facile trovare dei «responsabili» per una maggioranza diversa da quella giallorossa. Probabilmente sì, per il leader di Fi, che ci tiene ad escludere «nel modo più assoluto» un sostegno degli azzurri al «governo delle sinistre». Per Salvini l'opposizione comunque è pronta. I 15 senatori da portare a Mattarella? «Oggi non vado a cercare nessuno, ma se il presidente della Repubblica sciogliesse le Camere, domani mattina il centrodestra vincerebbe».
«Strada maestra elezioni», ripete la Meloni. Mentre gli altri due, pur dicendolo, sembrano meno convinti. Ad una crisi di governo provocata da Renzi pare non credere nessuno. «Si concludono sempre con qualche poltrona in più», taglia corto la leader di Fdi. «Surreale che il Paese sia attaccato all'incontro Conte-Renzi», sbotta Salvini.
Sul confronto tra i tre tenori dell'opposizione, che passano quotidianamente dalle baruffe interne alla massima coesione esterna, rivela molto Giorgetti al «Corriere della Sera». Dice qualcosa di diverso dai leader, Salvini in testa: «L'opposizione è ancora una compagnia di ventura, vincerà a mani basse le prossime le elezioni, ma non è pronta a governare». Per il vicesegretario della Lega, anima moderata e spesso autonoma dal verticismo salviniano, il Conte 2 non arriverà a fine legislatura, ma non è così imminente la sua caduta, forse dopo le amministrative di primavera, chissà. Intanto, è «come se il centrodestra di oggi avesse paura di un altro centrodestra, diverso, che è proprio quello che serve all'Italia».
Lo stesso Salvini deve cambiare il suo personaggio tutto muscoli e invettive: «Per governare ci vogliono alleanze e credibilità, non basta un forte consenso elettorale». Consigli che però Salvini non pare gradire. «L'intervista di Giorgetti? Ho impegnato la mia giornata con altro», ha detto per snobbare il suo sempre più distante numero due.
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