Roma - I pantaloni sbottonati, il corpo supino, escoriazioni e ustioni sulle mani. Giuseppe Catalano, 77 anni, giornalista d'inchiesta e firma importante del settimanale L'Espresso, muore in seguito a un banale incidente oppure viene ucciso simulando un malore? Certo è che ai primi soccorritori intervenuti sul posto, in una stradina sterrata nelle campagne di Sant'Oreste alle pendici del monte Soratte, qualcosa non quadra. Secondo una prima ricostruzione il cronista sarebbe uscito di strada precipitando con la sua Smart in un dirupo di 250 metri, per fermarsi su uno spiazzo contro una recinzione. La city car prende fuoco, Catalano apre la portiera e si allontana di alcuni passi, 40 metri rilevano i carabinieri di Ostia, poi si accascia al suolo e muore. Non prono, come accade di solito a chi perde i sensi e cade a terra, ma con il volto all'insù. Nessun segno evidente di arma da fuoco o da taglio. Catalano sarebbe morto per arresto cardiocircolatorio. Una causa che porta a mille ipotesi. Se Catalano fosse stato ucciso, slacciandogli i calzoni l'assassino avrebbe provato a simulare un incontro galante fra il 77enne e una persona da identificare. Un classico depistaggio.
Il primo a lanciare l'allarme è un contadino di Fossa Rocca alle 19 di venerdì. L'uomo avvista la colonna di fumo e quando si avvicina all'auto in fiamme si accorge anche del corpo senza vita del giornalista. Oltre ai documenti l'uomo ha in tasca un biglietto da visita di un antennista di Roma. Ma che ci faceva in una zona sperduta e impervia come quella del Soratte? Assieme a Camilla Cederna, Fabrizio Dentice, Livio Jannuzzi e Mario Scialoja, Catalano è un giornalista di punta de L'Espresso sui misteri del Belpaese, dal tentato golpe di Junio Valerio Borghese, agli Anni di Piombo o le bombe sui treni e in piazza della Loggia e piazza Fontana. Sarà un caso ma Catalano muore a pochi giorni dal 50° anniversario della strage alla Banca Nazionale dell'Agricoltura e dalla sentenza di assoluzione per tutti gli imputati. Sulla «madre» delle stragi Catalano scrive decine di pezzi. Come sull'omicidio di Pierpaolo Pasolini e sulla morte del presidente Eni Enrico Mattei. Nelle sue inchieste racconta dei «mattinali» che il capo dei servizi segreti Vito Miceli inoltrava ogni giorno a Eugenio Cefis, presidente Montedison, «come se il Sid fosse una sua polizia privata».
Da un paio di anni in pensione, Catalano viveva da solo nella capitale, zona Tomba di Nerone. Resta il mistero di una morte assurda. Fra i casi rimasti insoluti quello del «suicidio» di Sergio Castellari, scoperto in una collina di Sacrofano con un colpo di 38 Smith & Wesson alla tempia. Il revolver inspiegabilmente nella fondina, nel tamburo quattro proiettili e un bossolo, quello mortale scomparso. Una bottiglia di whisky accanto al cadavere e un mozzicone di sigaretta con un Dna femminile. Direttore del ministero delle Partecipazione statali, Castellari era indagato per il caso Enimont.
O quello dell'ex Nar Marco Castori, trovato appeso a un albero in un bosco del reatino. Castori, paralizzato per un incidente, lascia le stampelle sui sedili dell'auto, lo stereo acceso, e si impicca su un ramo a dieci metri di altezza.
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