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Il pregiudizio del governo: dichiara guerra agli autonomi

Commercialisti, avvocati e negozianti sono visti come nemici da combattere: le leggi giallorosse lo dimostrano

Il pregiudizio del governo: dichiara guerra agli autonomi

Un governo si giudica anche dai suoi nemici. Gli ultimi in ordine di tempo: i commercialisti, non certo rivoltosi di professione. Da tre giorni si sono aggiunti alla schiera degli indignati dagli atteggiamenti dei giallorossi. Già, gli atteggiamenti: le controversie non sono nate solo da provvedimenti contestati, ma anche dal modo in cui vengono presentati.

A scatenare i commercialisti è stato un post di un esponente di spicco di Italia viva. L'economista e deputato Luigi Marattin annunciava l'intenzione di «creare un sistema fiscale tanto semplice da non rendere più necessario il commercialista per fare la dichiarazione dei redditi». Le associazioni professionali hanno risposto con una lettera di fuoco in cui ricordano che 120mila commercialisti oggi sono necessari soprattutto al Fisco per raccogliere montagne di dati dei contribuenti: «Dimentica di dire, onorevole, che per raccogliere questi dati il legislatore, produce leggi su leggi, le abbina a sproporzionate sanzioni del tutto sganciate dal danno erariale che, nel caso delle dichiarazioni precompilate (meglio dire nelle comunicazioni obbligatorie che servono al fisco per fare la precompilata che precompilata non è), non esiste». Marattin ha poi precisato alcuni aspetti della sua affermazione, ma al di là del caso singolo e dell'intenzione della frase, colpisce l'elenco di chi è finito nel mirino del governo.

La legge che cancella la prescrizione ed espone i cittadini a processi eterni è stata giustificata dai Cinque stelle con l'accusa agli avvocati di volere la prescrizione «corta» per poterla sfruttare giocando con rinvii pretestuosi (salvo poi accusarli di voler allungare i processi per lucrare sulle parcelle). Anche la battaglia con i negozianti sul bancomat ha avuto toni simili: bisogna imporlo per poter tracciare le spese. Dunque i commercialisti sono parassiti, gli avvocati imbroglioni, i negozianti evasori.

Il pregiudizio, non solo negli esponenti di governo, ma anche nella parte di Paese che rappresentano, è talmente radicato che dividono la società in due. Da una parte i buoni: chi ha un lavoro dipendente e perciò è sicuramente retto e onesto. Dall'altra chi ha una partita Iva, dunque è sospetto e va punito. Una specie di apartheid che impedisce perfino di vedere che il modello di lavoro è cambiato, per cui oggi del popolo delle partite Iva fa parte anche chi svolge mestieri cui in teoria Pd e soci dovrebbero sentirsi culturalmente vicini: i lavoratori dei servizi sociali o i rider difesi da Di Maio.

L'«apartheid» anti partite Iva non resta al livello di giudizio morale, ma si riverbera sulle politiche. Il governo giallorosso non ha ancora intaccato gli odiati decreti sicurezza di Salvini ma ha subito colpito la normativa sulla flat tax per gli autonomi limitandone la portata. Contemporaneamente ha varato uno sconto fiscale, seppur modesto, dedicato solo ai lavoratori dipendenti, cioè a chi in questo momento storico ha più garanzie, a parità di reddito, rispetto alle partite Iva. «A un autonomo con 20mila euro di reddito -scriveva lo scorso 23 gennaio il Sole 24 Ore- il Fisco può chiedere fino a 106 volte in più rispetto a quanto pretende da un dipendente con le stesse entrate». E un autonomo con 20mila euro di reddito può tranquillamente essere, ad esempio, un assistente sociale che lavora per una cooperativa, senza ferie né contributi pagati, mentre il collega assunto dalla pubblica amministrazione, a parità di reddito, ha posto garantito a vita, ferie, malattie, contributi; e riceverà pure il bonus di Renzi integrato ora dai giallorossi. Ed è un governo con questa mentalità che sta studiando la riforma del fisco.

Autonomi, state sereni.

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