Il premier del governo islamico di Tripoli: "Trattiamo con l'Italia, non con l'Onu"

Parla il leader sostenuto da Turchia e Qatar: "Il Paese è sotto il nostro controllo, aiutateci e fermeremo gli sbarchi"

Il premier del governo islamico di Tripoli: "Trattiamo con l'Italia, non con l'Onu"

Tripoli - «L'Italia deve avere un ruolo centrale nei colloqui di pace. Con voi tutto sarebbe più facile, più veloce e con maggiori possibilità di successo». Se gli chiedi dell'ottimismo dell'inviato dell'Onu Bernardino Leon - convinto che la nascita di un governo di unità nazionale sia ormai questione di giorni - Omar al-Hasi ti risponde con una sviolinata all'Italia. Ne ha ben donde visto che un governo di unità nazionale metterebbe fine alla sua carriera di premier. Una carriera propiziata dalla guerra civile culminata, la scorsa estate, nella fuga a Tobruk del parlamento eletto a giugno e del governo in carica. Da allora la Libia ha due governi. Quello di Tobruk, del premier Abdullah Al Thanni, riconosciuto dalla comunità internazionale e appoggiato da Egitto ed Emirati Arabi. Quello di Tripoli guidato da Omar al-Hasi, sostenuto da Turchia e Qatar, ma considerato «illegittimo» dall'Occidente e troppo vicino alle posizioni «islamiste» dei Fratelli Musulmani. Omar al-Hasi, in questa intervista esclusiva al Giornale contesta entrambe le definizioni. «Islamisti? Il nostro è un governo di Salvezza Nazionale. Bernardino Leon si rifiuta di discutere con noi, ma il paese è sotto il nostro controllo. Oltre a garantire servizi e forniture essenziali paghiamo i salari di tutti i libici, pure quelli di Tobruk. Quindi chi è più legittimo di noi?»

Neppure l'ambasciatore italiano ha mai voluto incontrarla.

«È vero, non ha fatto mezzo passo per intrattenere buoni rapporti con noi. Ricordatevi però che siamo noi a governare. Anche se tendiamo la mano a tutti».

L'Italia v'ignora e lei invoca un mediatore italiano.

«Le trattative sarebbero più facili. Leon sbaglia tutto perché rifiuta di discutere con noi. E per questo non risolverà niente. Un italiano sarebbe molto più motivato. I nostri problemi sono i vostri. A cominciare da Stato Islamico e immigrazione».

I trafficanti di uomini però fanno grandi affari.

«Da voi arriva il dieci per cento dell'immigrazione illegale il resto ce lo accolliamo noi. Mantenerli, rimandarli ai loro paesi, curare le loro malattie ci costa tantissimo. E molti di loro arrivano dalle zone controllate da Tobruk e da quel generale Haftar che non perde occasione di bombardarci. Invece di escluderci, proponeteci iniziative per far lavorare qui gli immigrati. Così eviterete che arrivino da voi».

Perché non incominciate a fermare i clandestini?

«Abbiamo appena mandato tre ministri a Roma. Se volete dei risultati, aiutateci. Abbiamo bisogno di esperti, di controlli satellitari per seguire le barche dei clandestini, di una guardia costiera addestrata e di motovedette».

Sul fronte di Daesh, come lo chiamate voi, le cose non vanno molto meglio. Occupano Sirte da settimane.

«La Brigata 166 di Misurata ha perso 25 uomini combattendo contro di loro. A Tripoli hanno cercato di uccidermi attaccando il Corinzia Hotel, il mio albergo. Combattiamo Daesh dal primo giorno. Abbiamo ucciso un loro comandante tunisino e vi abbiamo mostrato il corpo. Che altro volete?».

I comandanti di Misurata si lamentano di non ricevere mezzi adeguati. Dicono che al suo governo non importa combattere Daesh.

«Come possiamo combattere Daesh se l'Italia e la comunità internazionale non ci danno armi e munizioni. Combattiamo con le armi del 2011. E non abbiamo aerei. Il generale Haftar e quelli di Tobruk invece di colpire i terroristi bombarda le nostre città».

Accettereste un intervento militare in Libia per combattere Daesh?

«Riconoscete il nostro governo, dateci le armi e ce la caveremo da soli. Un intervento in Libia è una questione delicata. Se non vi fidate di noi e ci trattate come Daesh i terroristi guadagneranno consensi. E sarà più pericoloso per voi che per noi».

Sulla Libia Matteo Renzi sembra in sintonia con il presidente egiziano Abd Al-Fatah Al-Sisi.

«Sisi è un dittatore, un complice del generale Haftar e il responsabile di tutti problemi nel suo paese. I dittatori non sono mai una soluzione. Dove c'è un dittatore cresce l'estremismo. Affidatevi a politici più saggi, chiedete consiglio agli islamici moderati del vostro paese o al Vaticano».

Il Vaticano è preoccupato per la sorte dei cristiani. Soprattutto dopo la decapitazione dei 21 copti a Sirte.

«Finché i musulmani potranno pregare nelle moschee in Italia, proteggeremo la libertà dei cristiani di pregare. Per quanto riguarda il filmato dei 21 copti decapitati le ricordo che molti lo considerano una montatura. Le famiglie hanno dichiarato che i loro parenti erano prigionieri di Haftar».

Una montatura? E di chi?

«I servizi di sicurezza egiziani durante la rivoluzione colpivano i copti per metterli contro i musulmani. I cadaveri dei nostri soldati uccisi a Sirte da Daesh lei li ha visti. Invece i corpi dei copti egiziani non li ha visti nessuno.

In Libia sono a rischio sia le infrastrutture dell'Eni, sia l'incolumità degli italiani. A Tripoli è scomparso un medico.

Dopo la rivoluzione abbiamo rispettato tutti gli accordi economici con l'Italia. L'80 per cento della nostra economia è legata all'Italia, ma il gas passa da Zintan. Sono i miliziani di Zintan alleati con Tobruk a minacciarlo.

I rapimenti invece sono è una questione di ordine pubblico. Ci servono attrezzature adeguate per combattere queste minacce. Quindi gli interessi sono reciproci. Ma se non riconoscete la nostra autorità sarà difficile continuare a garantirvi tutto questo.

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