Il presidente dell'Unione armeni d'Italia: «Feriti e offesi, Roma parla come Ankara»

«Siamo vittime due volte. Ieri della pulizia etnica, oggi dell'opportunismo politico del presidente turco Erdogan e del governo italiano». Nel giorno in cui l'Europarlamento di Bruxelles vota una risoluzione che chiede ad Ankara di non negare il «genocidio» compiuto dal governo dei «Giovani turchi» tra il 1915 e il 1923, il presidente dell'Unione degli Armeni d'Italia, Baykar Sivazliyan, non ha esaurito il suo sconcerto per i toni minacciosi usati dalla Turchia contro Papa Francesco - reo di aver chiamato «il genocidio» con il suo nome - e non smette di stupirsi per l'ignavia mostrata dalle autorità italiane.

Erdogan avvisa che «ignorerà» il voto dell'Europarlamento e che potrebbe espellere 100mila armeni. Il premier Davutoglu dice che il Papa si è unito al «fronte del male». Come spiega questa escalation nei toni?

«Hanno perso completamente il controllo dei nervi, probabilmente irritati dal voto annunciato di Bruxelles. Ma la questione è che il 7 giugno ci sono le elezioni generali in Turchia e il partito del presidente, Giustizia e Sviluppo (Akp, ndr ), sta perdendo una parte dell'elettorato islamico e nazionalista. Così crede di guadagnare qualche voto in più».

È un modo per galvanizzare anche l'elettorato islamico?

«Le motivazioni sono in gran parte politiche ma puntando il dito contro il Papa si tenta di buttarla anche sul piano religioso. Allora mi chiedo: loro si presentano nei panni di musulmani devoti, ma come fanno a far combaciare la propria coscienza religiosa con una bugia così grande?».

Eppure anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Sandro Gozi, dice: «Non è compito dei governi stabilire cosa sia successo cento anni fa».

«Una reazione che ci ha ferito e offeso. È esattamente la stessa frase che dice Erdogan quando parla del genocidio: “Dobbiamo lasciare queste cose agli storici”. Poi però chiude gli archivi. Ci addolora che un sottosegretario ci caschi e ripeta le sciocchezze di Erdogan. Eppure, più che la reazione, che è stata veramente stupida, ci ha colpito l'assenza del governo italiano».

Quale assenza?

«A San Pietro, quando Papa Francesco ha celebrato la messa in ricordo del “Grande Male” patito dal popolo armeno, non ho visto un solo esponente dell'esecutivo italiano»

Un'assenza calcolata?

«Sul momento non l'abbiamo pensata così. Ma dopo aver ascoltato le dichiarazioni del sottosegretario Gozi abbiamo capito che non volevano mischiarsi. Noi non viviamo sulla luna, sappiamo che la Realpolitik è cosa seria, che gli Stati hanno i loro interessi, ma il governo ci ha fatto sentire completamente soli».

Quali interessi economici spingono il premier Renzi e altre cancellerie a non contrastare Ankara?

«Be', di mezzo ci sono il gas e il petrolio che verranno dall'Oriente. Ma conoscendo la situazione di quelle terre mi preoccuperei se, alla lunga, la decisione di far passare i tubi da quelle zone così turbolente, si rivelerà vincente».

La comunità armena d'Italia è arrabbiata?

«Ho difficoltà a tranquillizzare la mia gente. Ma spero che il governo italiano recuperi almeno il 24 aprile, quando a Erevan, capitale dell'Armenia, si svolgeranno le commemorazioni per il centenario del genocidio. Francia, Spagna e Germania hanno già fatto sapere che ci saranno».

La Turchia deve restare fuori dall'Europa?

«Io credo che con questa mossa si siano giocati le relazioni internazionali e l'ingresso nella Ue per altri due o tre anni. Poi non c'è solo il genocidio degli armeni. C'è la questione curda, quella di Cipro, il nodo dei diritti umani. Ci sono decine di giornalisti in carcere per reati di opinione e Erdogan blocca Internet a giorni alterni. L'Italia e gli altri Paesi europei non possono permettersi che un Paese liberticida ambisca a entrare in Europa. Non vorrei che ci si concentrasse solo sul riconoscimento del genocidio, che certo dovrebbe essere una questione sine qua non per l'ingresso».

Secondo lei Papa Francesco si aspettava di sollevare questo polverone?

«Il Pontefice è un uomo che ama chiamare le cose col proprio nome. Credo che del genocidio abbia sentito parlare, quando era arcivescovo a Buenos Aires, dalla bocca dei sopravvissuti e abbia sentito il loro pianto.

Le sue parole erano rivolte soprattutto al cuore dei turchi. Lui ha parlato di fratellanza e riconciliazione. Non so che reazione si aspettasse. Noi invece speravamo che i turchi cogliessero l'occasione per chiedere a Bergoglio di fare da paciere, da intermediario. E invece...».

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