Economia

Così Berna si è arresa alla trasparenza

Il pressing sulla lotta all'evasione e le maximulte Usa hanno messo in ginocchio il sistema

Così Berna si è arresa alla trasparenza

Lugano Prima l'improvviso abbandono della soglia minima euro-franco, poi l'accordo fiscale con l'Italia per lo scambio di informazioni suggellato lunedì a Milano. La Svizzera ha vissuto settimane movimentate ed è passata, progressivamente, dall'era del segreto a quella della trasparenza. La pressione internazionale e la lotta mondiale all'evasione unita all'esigenza di cassa di molti Stati (che quanto a debiti non scherzano) hanno messo la Svizzera con le spalle al muro. Non c'erano grandi alternative allo scambio di informazioni, sebbene in diversi nel Paese accusino il Consiglio federale di un'eccessiva debolezza e di un'ulteriore genuflessione di fronte a potenze straniere. La Svizzera sta perdendo uno dei suoi capisaldi, una delle principali fonti di ricchezza, ma ne guadagnerà (anche) in termini di immagine. «Forse l'atteggiamento dei nostri ministri poteva essere più coraggioso nel difendere certe posizioni, inserire nella trattativa temi molto diversi tra loro è discutibile», afferma il direttore dell'Associazione bancaria ticinese Franco Citterio, che commenta positivamente l'accordo: «Come banche volevamo regolarizzare gli averi esteri, ora ne aspettiamo altri importanti, come quello dell'accesso facilitato al mercato italiano per gli operatori svizzeri, una questione davvero centrale».

Come cambierà il modo di lavorare degli istituti in Svizzera e in particolare in Ticino: ci saranno conseguenze? «Si tratta di cambiare atteggiamento e tipo di clientela - prosegue Citterio - ma non per questo non ci sarà più un banking in Svizzera e in Ticino. Anzi, sono convinto che la qualità delle nostre prestazioni ma soprattutto le condizioni quadro della Svizzera rappresentino, per una clientela estera molto esposta a rischi politici ed economici, una forte motivazione per diversificare i propri averi. In un regime di perfetta trasparenza, di “conformità fiscale”, il cliente troverà un servizio che ha dimostrato di apprezzare anche in passato. E poi, è bene ricordarlo, chi possiede soldi in Svizzera potrà regolarizzare la propria posizione senza spostare il suo denaro, come già deciso in occasione dell'amnistia Tremonti del 2009 per chi “scudava”». L'accordo potrebbe mettere a rischio posti di lavoro? «È prematuro fare una previsione, di sicuro da qui a settembre ci sarà un carico di lavoro amministrativo supplementare che richiederà un grosso impegno per gli istituti».

Interessato dall'avvenuto accordo è il Canton Ticino e in particolare la città di Lugano, terza piazza finanziaria dopo Zurigo e Ginevra che negli ultimi tempi è entrata in crisi anche perché il contributo di banche e fiduciarie - quello che ha garantito per anni benessere e prosperità - è drasticamente calato, -40%. «Ma è soprattutto - ci tiene a precisare Citterio - per i problemi riscontrati dai due principali istituti del Paese, Ubs e Credit Suisse, multate pesantemente e che hanno accusato perdite ingenti a livello globale». Sanzioni, lo ricordiamo, giunte principalmente negli Stati Uniti, per aver aiutato i clienti americani ad evadere il fisco.

Tornando alla realtà di Lugano, chi ha accolto senza drammi l'accordo siglato con l'Italia è anche Michele Foletti, ministro delle Finanze cittadine. «Ora almeno le regole sono chiare, era peggio lavorare in una zona grigia di incertezza e quindi siamo sollevati. È comunque chiaro che si attendono risultati concreti per quel che riguarda il libero accesso al mercato italiano degli operatori svizzeri. Se adesso il gettito fiscale calerà ulteriormente? Forse un po' all'inizio, l'abbiamo messo in conto, ma dopo una possibile contrazione nell'immediato crediamo che la nuova strategia sul medio-lungo termine possa rivelarsi vincente e portare dunque dei benefici anche alla città».

La Svizzera si è forse arresa troppo presto davanti alle pressioni internazionali? «Era inevitabile che si arrivasse a questo punto - conclude Foletti - un po' per le pressioni esercitate dagli altri Paesi, un po' perché in un mondo sempre più globalizzato è normale che anche i sistemi bancari e finanziari vengano uniformati».

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