Con un costo complessivo di appena 15mila dollari, i dieci droni che hanno messo in ginocchio la produzione petrolifera saudita e proiettato ombre scure sull'economia globale hanno la sinistra fisionomia del cigno nero, l'evento economico catastrofico e imprevisto. Dato che non capita tutti i giorni di vedere volatilizzarsi in un sol colpo 5,7 milioni di barili, una sottrazione brutale di offerta giornaliera che corrisponde a oltre il 5% dell'intera capacità estrattiva mondiale, i mercati hanno spinto ieri alle stelle i prezzi del greggio: un'arrampicata senza sosta e senza precedenti in una sola seduta ha portato il Brent a scalare la vetta dei 71,95 dollari, quasi il 20% in più di venerdì scorso, mentre il Wti è arrivato fino a 63,34 dollari (+15,5%). Numeri da choc petrolifero capaci di scuotere anche le Borse (-0,96% Milano, bene solo Eni balzata dell'1,92% e Saipem e Tenaris, in rialzo del 2,78%), nonostante Riad abbia garantito il ripristino entro la serata di ieri di circa un terzo del proprio output (cioè circa due milioni di barili giornalieri) e benché Donald Trump abbia già autorizzato l'impiego delle riserve strategiche Usa.
Rassicurazioni non del tutto convincenti. E per almeno due motivi: oltre a rischiare un nuovo rinvio della quotazione a Wall Street, la compagnia saudita nazionale Aramco può coprire solo per 40 giorni gli obblighi contrattuali di fornitura. Inoltre, né l'Opec né gli altri produttori esterni al Cartello che fanno parte della cosiddetta Opec+, sono al momento in grado di compensare il deficit produttivo provocato dall'attacco agli impianti di Abqiaq, il maggior impianto mondiale nella raffinazione, e di Khurais, il secondo giacimento petrolifero saudita.
Anche se fino alla settimana scorsa il mercato scontava un surplus di disponibilità petrolifera, il timore è ora quello di una prolungata rarefazione dell'offerta destinata a far lievitare come palloncini le quotazioni. S&P Global Platts stima che i prezzi potrebbero scavalcare con facilità il muro degli 85 dollari, se non si risolverà rapidamente il problema. Ma gli analisti, a cominciare da quelli di Goldman Sachs, sono concordi nel ritenere che già un barile attorno ai 70 dollari sia una freccia acuminata conficcata nel fianco di un'economia globale in sofferenza e bisognosa del continuo ossigeno delle banche centrali. Sarà interessante vedere se, visto l'accaduto, dopodomani la Federal Reserve forzerà la mano tagliando i tassi più del previsto, venendo così incontro ai desiderata di Trump. Va considerato che l'America , grazie alla produzione nazionale, non soffre più della dipendenza energetica di un tempo, ma di sicuro i rincari del petrolio potrebbero minare - non solo negli States - la fiducia delle imprese e porterebbero a un aumento dei costi dell'intera filiera produttiva, fino ai trasporti di merci, con ripercussioni sui prezzi finali da indurre le famiglie a frenare i consumi. Con un greggio attorno agli 80 dollari, per esempio, gli effetti sulle tasche dei consumatori italiani si farebbero subito sentire con i listini della benzina ritoccati oltre gli 1,6 euro per litro.
Questi scenari, per quanto preoccupanti, non tengono però conto del possibile scatenamento di un conflitto militare. Fonti militari saudite hanno apertamente accusato ieri l'Iran di essere l'autore degli attacchi, negando che dietro vi sia la mano dei ribelli yemeniti.
È la stessa posizione espressa, per la prima volta, dagli Stati Uniti attraverso alcuni funzionari. Trump, per ora, tace. E ciò potrebbe non essere un buon segno, se a questo silenzio seguirà l'ok all'impiego della forza militare contro Teheran.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.