Sulla carta era perfetta: giovane, aspetto gradevole e rassicurante, avvocato, mamma. Virginia Raggi doveva essere il biglietto da visita del Movimento 5 Stelle, il volto nuovo e pulito che vince e convince e che nelle intenzioni del garante Beppe Grillo avrebbe dovuto rappresentare ed incarnare un nuovo modo di gestire la cosa pubblica. Nella Capitale, certo, ma in proiezione anche nel governo del Paese.
Invece Virginia Raggi è oggi l'ombra di se stessa: magra, quasi smunta, il viso stanco. È un pallido ricordo della ragazza esuberante, a tratti arrogante e sicura della vittoria che solo qualche mese fa sbaragliava i suoi avversari nella corsa per la conquista del Campidoglio.
Forte del sostegno del 67,2% dei romani che a giungo l'hanno scelta, la 37enne Virginia con le sue 770mila preferenze, è risultata essere il sindaco più votato a Roma dal 1993, cioè da quando è stata introdotta la legge elettorale che prevede due turni per i Comuni sopra i 15mila abitanti. E la prima donna. Un bel colpo e una grossa spinta per l'immagine dell'intero Movimento.
Ma cosa è rimasto di tanta gloria? Un sindaco indagato, un Grillo furibondo, una città allo sbando, una base perplessa e divisa e, come se non bastasse, un fuoco amico sempre più pressante. Le donne forti del M5S nella Capitale, la senatrice Paola Taverna e la deputata Roberta Lombardi, non hanno mai fatto mistero di non amare particolarmente l'avvocato Raggi e oggi più che mai la loro verve da «capopopolo» e la loro indole combattiva, stridono con la figura disorientata e fragile del sindaco.
Orfana di colui che avrebbe dovuto guidarla nei meandri del Palazzo, Raffaele Marra, arrestato per corruzione e causa prima di tutti i guai che l'hanno travolta - è indagata per falso e abuso d'ufficio proprio in concorso con Marra -, privata di quel che restava del «raggio magico» cioè dei fedelissimi Salvatore Romeo e Daniele Frongia che dovevano proteggerla e sostenerla, oggi lei è sola. Prigioniera in una torre angusta, senza nessun «cavaliere» che la salvi dal suo destino. Perché oggi nel suo destino ci sono due uomini che lei non ha scelto. Con il vuoto che si è venuto a creare, i due plenipotenziari in Campidoglio sono Massimo Colomban e Pietro Paolo Mileti, rispettivamente assessore alla Partecipate e segretario generale. Il primo, veneto, è arrivato a Roma a ottobre su precisa indicazione di Davide Casaleggio e in pratica detiene il controllo economico del Comune; il secondo, cooptato da Grillo dopo una lunga esperienza al Comune di Genova, ha il controllo amministrativo.
Ufficialmente, per il sindaco, nessuna autosospensione o «ridimensionamento», ripetono dai vertici del Movimento, ma è chiaro che in questa delicatissima fase si trova in un limbo che sa tanto di commissariamento de facto.
In questi mesi è andato tutto storto, nomine sbagliate, personaggi poco «limpidi» e casi di conflitto di interesse hanno segnato i primi passi e il primo esperimento di governo a 5 Stelle. D'altro canto, però, non si può imputare tutta la colpa a Raggi, che paga la sua inesperienza e forse la sua inadeguatezza al ruolo: amministrare Roma è un onore, ma anche un grande e prevedibile onere. Grillo e i suoi, con i loro slogan «onestà» come unico e principale requisito e «uno vale uno», non potevano certo sperare di cavarsela così. Va bene il ricambio generazionale e la proposta di volti nuovi non compromessi con precedenti gestioni fallimentari, ma occorrono anche le capacità.
E soprattutto un percorso adeguato alle spalle, altrimenti si rischia di incorrere in quello che gli antichi greci chiamavano hybris. Si sa, gli dei non amano gli uomini che si macchiano di superbia e prima o poi li colpiscono con la nemesis, la vendetta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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