Primarie di coalizione, la spada di Damocle che pesa sul dopo voto

Dal 5 dicembre il tema è inevitabile: ormai Salvini e Meloni si sono spinti troppo avanti

Primarie di coalizione, la spada di Damocle che pesa sul dopo voto

Il Big bang arriverà il 5 dicembre, all'indomani del voto referendario. Comunque vada a finire, infatti, è improbabile che nel centrodestra il nodo delle primarie venga ancora una volta accantonato. Non tanto perché il tema è ormai all'ordine del giorno da almeno 4 anni, visto che sul finire del 2012, ancora vivo il Pdl, l'allora segretario Angelino Alfano arrivò persino a convocarle per il 16 dicembre annunciando la sua candidatura per poi essere costretto a fare marcia indietro. Quanto perché mai come adesso i tempi sembrano essere maturi. Per diverse ragioni.

Il fronte cosiddetto «sovranista» del centrodestra dalla Lega di Matteo Salvini ai Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni batte infatti sul punto ormai con cadenza quotidiana. Ancora ieri, i due hanno ribadito che «l'unica alternativa alle primarie è l'implosione del centrodestra». Il leader del Carroccio e l'ex ministro della Gioventù, insomma, sembrano essersi spinti davvero troppo avanti per lasciare cadere l'argomento. Avanti al punto che da settimane ci si confronta su quello che dovrà essere il regolamento delle prime primarie del centrodestra per le quali c'è già sul tavolo una data: domenica 5 marzo 2017. Con Salvini e Meloni è schierato Giovanni Toti, governatore della Liguria e colonnello di Forza Italia. Il suo è un sostegno convinto, con il solo limite che ancora non è chiaro quanto rappresenti davvero la posizione del partito di Silvio Berlusconi. Che sul punto, è noto, è alquanto freddino. Quando nel 2014 Laura Ravetto fu incaricata di buttare giù una bozza di regolamento per un'eventuale consultazione della base, per dire, invece di chiamarle «primarie» vennero definite «selezioni popolari» e previste solo come ultima ratio «in caso di disaccordo tra alleati». L'ex premier, insomma, di primarie non ha mai voluto sentir parlare, considerandole uno strumento «inefficace» e, soprattutto, «manipolabile» a meno che «non siano regolate per legge».

L'accelerazione di Salvini, Meloni e Toti, però, questa volta trova terreno fertile in un pezzo consistente dell'area di centrodestra. Per esempio in Raffaele Fitto, leader dei Conservatori riformisti, che le chiede da tempo e ovviamente non si è fatto sfuggire l'occasione per auspicare che si fissi al più presto «una data per scrivere insieme le regole». Non un dettaglio, soprattutto se tra i paletti ci sarà anche il «no» ad un eventuale Nazareno bis. Se domenica dovesse vincere il No e si aprisse un tavolo con il Pd sulla riforma della legge elettorale e magari su un possibile governo di larghe intese, il tema diventerebbe infatti centrale. E potrebbe essere addirittura esplosivo per una Forza Italia che sul punto ha anime diversissime. Senza contare che in caso di primarie tra gli azzurri solo una discesa in campo di Berlusconi in prima persona potrebbe unire le diverse sensibilità, mentre qualsiasi altro nome anche se con la benedizione dell'ex premier sarebbe difficilmente tollerato.

È evidente, dunque, che le primarie - al di là dello strumento in sé - diventano per Salvini e Meloni un'arma per cercare di «colpire» Berlusconi. Senza considerare che il leader della Lega quello che si è spinto decisamente più avanti nel braccio di ferro con l'ex premier ha una situazione interna che difficilmente gli consentirà di fare marcia indietro.

Puntare sulle primarie, infatti, servirebbe anche a far passare in secondo piano l'atteso congresso della Lega (il mandato di Salvini scade fra due settimane), dove non solo Umberto Bossi ma anche Roberto Maroni è sul piede di guerra. La scorsa settimana, per dire, ad un incontro pubblico a Varese con il deputato del Pd Daniele Marantelli pare si facesse fatica a capire chi tra lui e il governatore della Lombardia fosse più critico con Salvini.

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