"Le primarie del Pd tra patti del caminetto ed elezioni finte"

L'ex ministro dell'Ulivo: "Chi non capisce è destinato a ripetere sconfitte, non vittorie"

"Le primarie del Pd tra patti del caminetto ed elezioni finte"

«Obsoleto? A stare agli avversari era obsoleto e superato già all'indomani delle primarie pugliesi del 2005, quando le sperimentammo la prima volta per la scelta del candidato alla guida del centrosinistra nelle regionali. Quelle che con sorpresa videro Vendola prevalere su Boccia». L'ex ministro della Difesa, l'ulivista Arturo Parisi, continua a difendere lo strumento delle primarie.

C'è qualcosa che cambierebbe?

«Si può discutere se l'apertura debba estendersi fino a comprendere i non ancora elettori come i giovani e gli immigrati che ha creato più di un problema. E lo stesso se siano opportune per la scelta del leader del partito, oltre che per la guida della coalizione per le cariche istituzionali. Quali sarebbero i metodi migliori che vengono dal passato o sono oggi praticati in altri partiti alla luce del sole? La successione familiare? La gara ai pacchetti di tessere? Le investiture dall'esterno? La designazione più o meno palese del leader, carismatico o padronale che sia? Semmai il problema è che anche dentro il Pd residuano dalle pratiche del passato ancora troppi accordi di caminetto e conseguenti primarie finte».

Chi, tra Stefano Bonaccini ed Elly Schlein, può risollevare il Pd?

«Questa è tutta un'altra questione. Le primarie non sono certo uno strumento miracoloso. Guardi agli Stati Uniti che le praticano da decenni. Con le primarie si scelgono sia i candidati che dopo riusciranno vincitori che gli sconfitti. Ed esattamente come per le elezioni ufficiali quelli che poi risolveranno i problemi del Paese e quelli che li aggraveranno o li lasceranno irrisolti. E tuttavia speriamo che a nessuno venga in mente di eliminare le elezioni: né quelle ufficiali, né le primarie».

Schlein sostiene che in Italia vige ancora il patriarcato. Cosa pensa?

«Quello che pensano tutti. Che dopo migliaia di anni nei quali i ruoli pubblici e privati sono stati distinti e attribuiti a partire dal genere il cammino che resta è ancora molto».

Sia Letta sia Bonaccini hanno riconosciuto le capacità della Meloni. Perché il centrodestra è riuscito a portare una donna a Palazzo Chigi e il centrosinistra no?

«Perché non è il centrodestra che ha portato la Meloni a Palazzo Chigi, ma la Meloni che lo ha guidato alla vittoria. Unito nella divisione. Quello che per abitudine chiamiamo il centrosinistra non è invece esistito e non esiste ancora. Purtroppo per noi. E purtroppo anche per il centrodestra. Senza un competitore all'altezza non ci può essere un vero vincitore».

Il prossimo segretario sarà in grado di sciogliere i nodi di un partito che nel Lazio sta col Terzo Polo e in Lombardia si allea col M5S?

«È vero che si dice dimmi con chi vai e ti dirò chi sei, ma vai non vuol dire stai. Senza una meta, una comune idea dell'Italia, un progetto, e una proposta di governo al massimo si sta, non si va. Questo è il problema. Del Paese, non solo dell'ipotetico centro sinistra. Anche del centrodestra. Solo la scelta tra proposte comparabili dà senso alla democrazia».

Il Pd deve ricostruire il «campo largo» oppure è una formula politica troppo simile all'Ulivo e, quindi, non proprio vincente?

«Quindi non proprio vincente? Certo l'Ulivo ebbe i suoi limiti.

E tuttavia cosa rimane al centrosinistra se non il mito delle vittorie colte nel suo segno? Solo il ricordo di una vittoria può incoraggiare una nuova gara. Ma non basta dire Ulivo, Ulivo! Chi non capisce le cause della sua origine e ancor di più della sua fine è destinato a ripeterne la sconfitta. Non la vittoria».

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