
nostro inviato a Rimini
Un dubbio rimbalza tra un megapadiglione di RiminiFiera e l'altro. Represso quanto basta per non renderlo pubblico, ma concreto e preoccupante. E se il Meeting fosse invecchiato? Se quella ostentazione di forze fresche che ne aveva decretato il successo, fosse solo un ricordo degli anni Ottanta e Novanta, quando il popolo di Cl conquistò il monopolio di fatto della gioventù italiana?
Sia chiaro, anche oggi non c'è nessun'altra organizzazione in grado di mobilitare e fare lavorare ventenni, pochissime quelle che possono vantare quadri così giovani come quelli impegnati nel Meeting. Ma sfogliando il programma degli spettacoli qualche dubbio viene. Piatto forte del primo giorno, un omaggio teatrale a Enzo Jannacci intitolato «Le scarpe del Tennis». Segue un altro omaggio, «Come una specie di sorriso», chiaramente a Fabrizio De André. Mostri sacri della musica italiana, ma anche nomi che risalgono anagraficamente all'era in cui Comunione e liberazione nacque.
Vero che lo slogan del Meeting per l'amicizia tra i popoli edizione 2017 è «Quello che erediti dai padri riguadagnatelo», omaggio al Faust di Goethe e alla capacità di rinverdire le radici del passato, ma viene in mente con i dovuti distinguo il vecchio Pci, che non fu capace, e nemmeno volle, superare l'estetica anni Settanta. Cercò di imporla alle nuove generazioni e questa - forse più che il restare immobile sotto le macerie del muro di Berlino - fu la sua principale sconfitta.
Forse pesa il fatto che i vertici dell'organizzazione non sono più di primissimo pelo, ma non è una semplice crisi da mancato passaggio generazionale, come per tante aziende italiane. Semmai è l'ansia di appropriarsi di quello che le altre culture politiche italiane buttano via. Girando tra gli stand spunta una mostra sulla rivoluzione russa oppure dei pannelli sul Sessantotto francese, come non se ne vedevano da anni. Continui i richiami al multietnico. Materiale che oggi anche la sinistra ha archiviato se non liquidato. Sarebbe facile a questo proposito fare dell'ironia sulla presenza assidua di Fausto Bertinotti e Luciano Violante e non lo faremo.
Insomma, nell'ansia di innovare la tradizione, sembra che il Meeting abbia voluto mettere tutto insieme, anche le culture un tempo nemiche, e si sia scordato il contemporaneo. Con tre eccezioni emerse prepotentemente ieri, alla fine del discorso di Paolo Gentiloni. Tre giovani saliti sul palco per fare domande al premier. Il primo, allestitore di una bella mostra sul lavoro, Marco Saporiti. Ha spiegato al presidente del Consiglio che aprire una Srl in Italia è troppo complicato per un giovane. Poi Maddalena Saccaggi, futuro avvocato che si è interrogata sulla concorrenza al ribasso che non fa crescere né lei né il Paese. Quindi Andrea Avveduto, impegnato in Terrasanta, preoccupato per la marginalità dell'Italia in politica estera.
Un bagno di realtà e contemporaneità, fatta
di persone che cercano di farcela non grazie, ma nonostante le istituzioni. Dargli voce è un classico del Meeting di qualche anno fa, quando non aveva bisogno di attingere agli anni Settanta e al patrimonio della sinistra.