Primi nodi per i giallo-verdi: il futuro di Cdp e Tav

Il M5s vorrebbe trasformare la Cassa depositi e prestiti nell'Iri e bloccare l'Alta velocità

Primi nodi per i giallo-verdi: il futuro di Cdp e Tav

Roma Un «dolce» impegno si accompagnerà a un obbligo amaro per il futuro governo giallo-verde. Sul tavolo, tra i vari dossier, due questioni economiche avranno la priorità: la nomina dei nuovi vertici della Cassa depositi e prestiti (Cdp) e la decisione definitiva sulla Tav Torino-Lione.

Nel primo caso, occorrerà fare i conti con l'azionista di minoranza dell'istituto di Via Goito, cioè le Fondazioni di origine bancaria rappresentate dall'Acri e dal suo numero uno Giuseppe Guzzetti cui spetta la designazione del presidente. Per le Fondazioni, che da Cdp ricevono (quasi) sempre buoni dividendi, non sarà facile digerire il proposito di trasformare l'ente in una sorta di nuova Iri che dovrebbe estendere la propria mission anche ai finanziamenti alle pmi e, soprattutto, garantire la presenza pubblica sia nel Mps (anche se il contratto non lo esplicita chiaramente) che in Alitalia. Si tratta di un rischio non da poco in quanto la Commissione europea potrebbe bollare questo interventismo come una sorta di aiuto di Stato e ricomprendere gli attivi della Cdp nel novero del debito pubblico peggiorando la situazione a livello comunitario.

Va detto che la possibilità di entrare nella «stanza dei bottoni» di un gruppo che è azionista di peso in Eni, Poste, Terna, Snam, Fincantieri, Saipem e, di recente, anche in Tim è un gioco che vale la candela. Un gioco che aveva affascinato moltissimo anche Matteo Renzi. Al ministro dell'economia che verrà spetterà designare l'ad che occuperà la poltrona di Fabio Gallia. Si dovrà, però, concordare con Guzzetti & C. l'indicazione del presidente che prenderà il posto di Claudio Costamagna, che lascerà il timone.

Discorso differente per il nodo della Tav. Come spiegato proprio sul Giornale da Mario Virano, direttore generale della società che si occupa della realizzazione dell'infrastruttura, fermare i cantieri è un'alea da 2 miliardi di euro. È vero che i contratti in essere non prevedono penali, ma è altrettanto pacifico che tanto la Francia quanto l'Unione europea chiederebbero il risarcimento per gli investimenti finora effettuati ed è quasi sicura la soccombenza in giudizio trattandosi della rescissione unilaterale di un contratto. «È chiaro che il nostro ministro delle Infrastrutture dovrà andare a dire alla Francia che la Tav è superata», ha ribadito ancora ieri Luigi Di Maio all'assemblea dei parlamentari pentastellati. Un chiaro segnale di avvicinamento a grandi passi verso il burrone del risarcimento.

Potrebbe mai la Lega dire di no a questa strana società di cui è azionista di minoranza? Il responsabile economico Armando Siri, ancora ieri, rassicurava parlando di una generica conciliazione delle «esigenze del territorio». Così come per l'Ilva ripeteva il mantra dell'adeguamento degli standard di sicurezza ambientale. Frasi generiche, molto simili a quelle che la sinistra Pd recitava a memoria.

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