L'anno scorso è andato un po' peggio rispetto alle prime stime, che erano già modeste. L'Italia ha chiuso il 2018 con un Pil inferiore anche rispetto alle previsioni ufficiali del governo. In compenso il debito è salito.
L'ennesima revisione al ribasso dell'Istat è arrivata ieri e riguarda l'anno scorso. La crescita del Pil nel 2018 è stata dello 0,9%. A prezzi correnti il valore del Pil è stato di 1.753.949 milioni di euro, con un aumento dell'1,7% rispetto al 2018. In volume il Pil è aumentato dello 0,9%. Non l'uno per cento delle precedenti previsioni dell'Istat e dell'esecutivo. Meno rispetto all'1,6 per cento del 2017.
Per il ministro dell'Economia Giovanni Tria sono dati che «risentono di un fatto già noto, un forte rallentamento nel secondo semestre. Noi abbiamo avuto degli impatti negativi sulla crescita del Pil». Difficile quindi invertire la tendenza per un governo che si è insediato in giugno. Di segno opposto l'interpretazione del responsabile politica economica di Forza Italia Renato Brunetta. «Il primo anno economico targato Governo gialloverde si chiude al ribasso».
La bassa crescita è destinata a proseguire anche nell'anno in corso. Ieri l'indice Pmi di Markit, basato sugli ordinativi del manifatturiero, ha segnato un altro dato negativo per l'Italia, attestandosi a 47,7 punti contro i 47,8 punti di inizio 2019. Sotto i 50 punti per 5 mesi consecutivi, quindi ad alto rischio di crescita negativa. Nelle stesse condizioni dell'Italia anche la Germania, altro paese manifatturiero. A febbraio l'indice si è attestato a 47,6. Secondo mese sotto la soglia critica di 50 punti.
La differenza con l'Italia è che da noi la bassa crescita ha un effetto negativo anche sui conti pubblici. Nel 2018, sempre secondo dati Istat diffusi ieri, il rapporto debito Pil si è attestato al 132,1% rispetto al 131,3% del 2017. Il livello più alto dal 2014. Anche in questo caso più della stima fissata al governo, che è del 131,7%.
In questo quadro suona quasi come una buona notizia il micro aumento dell'occupazione registrato in gennaio. Rispetto a dicembre più 0,1%, pari a 21 mila occupati in più. Crescono per una volta i dipendenti permanenti (+56 mila), mentre si osserva un calo dei dipendenti a termine (-16 mila) e degli indipendenti (-19 mila). Dato in controtendenza rispetto alle ultime rilevazioni che davano in crescita il lavoro precario.
Cattivi segnali dalla distribuzione dei nuovi posti di lavoro. La crescita ha riguardato quasi esclusivamente gli uomini e le persone oltre i 35 anni.
Per quanto riguarda i giovani l'Istat ha registrato un aumento della disoccupazione, che è arrivata al 33%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto a dicembre. Un dato apparentemente negativo. In realtà le statistiche considerano disoccupato solo chi cerca un lavoro. La disoccupazione in crescita potrebbe quindi essere l'effetto dell'aumento dei giovani in cerca di lavoro e quindi a una diminuzione dei cosiddetti scoraggiati. Il Movimento 5 stelle ha salutato i dati come la dimostrazione «dell'efficacia del decreto Dignità, con buona pace della lunga sfilza di detrattori».
Il rischio, ha commentato Confcommercio, è che l'unico dato positivo della giornata, si perda nei prossimi mesi, quando il rallentamento dell'economia si farà sentire anche sul mercato del lavoro, che è generalmente l'ultimo a reagire ai cambiamenti.
A sostegno delle tesi dei pessimisti, il fatto che il taglio del Pil sia dovuto secondo l'Istat a «un netto ridimensionamento» della domanda interna, in particolare dei consumi.
La spesa delle famiglie l'anno scorso è crescita dello 0,6%, contro l'incremento dell'1,5% nel 2017. La crisi si fa sentire anche dell'export, cresciuto del 3,4%, ma in ripiegamento dal 4,4% di incremento dell'anno precedente. Il rallentamento dell'economia mondiale, insomma, continuerà a pesare sulla nostra economia.
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