Prima dovevamo preoccuparci, ora dobbiamo blindarci. Consumato l'orgoglio per una polizia capace di neutralizzare in poche ore un terrorista passato indenne attraverso i controlli tedeschi e francesi, dobbiamo fare i conti con le conseguenze di quel successo. Ovvero con il rischio rappresaglie. Metterle nel conto è un obbligo. Se l'Italia è il luogo da cui il tunisino Anis Amri è partito e ritornato una ragione c'è. Se dopo esser sbarcato in una Milano dov'era sicuramente più difficile farsi notare ha puntato su Sesto San Giovanni allora da quelle parti c'è, o c'era, qualcuno disposto ad aiutarlo. E un qualcuno disposto ad assistere l'uomo più ricercato d'Europa può facilmente trasformarsi nel suo vendicatore. Del resto è inutile farsi illusioni. I terroristi islamici frequentano l'Italia fin dai primi anni Novanta, quando la moschea di viale Jenner diventa la retrovia dei volontari islamici diretti in Bosnia e uno dei centri europei di Al Qaida. Senza dimenticare che fino alle primavere arabe del 2011 i qaidisti in trasferta in Lombardia sono quasi tutti tunisini. La gran parte rientra in patria nel 2011 quando - caduto Ben Ali - un'improvvida amnistia garantisce l'incolumità agli islamisti più pericolosi favorendo la nascita di Ansar Sharia, il gruppo legato alle fazioni libiche dell'Isis con cui anche Amri era in contatto.
E a rafforzare l'ipotesi di un terrorista in grado d'avvalersi di coperture e contatti «italiani» si aggiunge l'episodio dello scorso agosto quando Amri viene arrestato nella città di Friedrichshafen con in tasca un falso passaporto italiano mentre prepara, già allora, una trasferta nel nostro Paese. Certo identificare la sua rete è tutt'altro che facile. Il contatto in Italia potrebbe essere qualcuno con cui il terrorista ha stretto rapporti durante i quattro anni passati all'Ucciardione di Palermo. Ma esiste anche la variante «spirale balcanica», la costola dell'Isis che in Italia fa capo alle moschee salafite dei Balcani. Una variante vagliata con attenzione dagli inquirenti, visto che il contatto di Amri all'interno della cellula Isis di Dortmund - sgominata dall'intelligence tedesca a novembre - era Boban Simeunovic, un serbo convertito all'islam.
In questa rete di potenziali contatti la nostra intelligence deve ora identificare quelli in grado di colpire un obbiettivo. La prevenzione rappresenta un vero incubo visto il numero di chiese, luoghi di culto e santuari che da Roma a Milano fino a Firenze e Venezia ospiteranno messe e celebrazioni. Per non parlare dei concerti di Capodanno e delle grandi arterie dove nei prossimi due giorni si concentreranno turisti e ritardatari delle compere natalizie. Una volta terminate le cene di Natale l'attenzione dovrà spostarsi sui mezzi di trasporto. Se gli aeroporti vengono considerati obbiettivi troppo complessi e sorvegliati, treni e stazioni ferroviarie restano in larga parte vulnerabili. Con una particolare apprensione per gli spazi antistanti i binari dove resta difficile filtrare i potenziali terroristi. Passate le feste e ripresi i campionati di calcio, l'attenzione si sposterà anche su quegli stadi dove un attentato garantirebbe inevitabilmente decine di vittime e larga risonanza internazionale. E un attenzione speciale andrà alle carceri. Non solo perché in un carcere Amri ha trascorso i suoi giorni italiani, ma anche perché un video dello Stato Islamico dello scorso anno indicava come obbiettivi le prigioni europee.
Ma in questo panorama infinito di bersagli i sorvegliati speciali saranno sempre Milano e Roma.
Milano perché è la metropoli attigua a quella Sesto San Giovanni dov'è stato eliminato Amri e dove le componenti vicine all'Isis possono contare su numerosi simpatizzanti. Roma, che ieri ha vietato l'ingresso al centro ai tir, perché è la sede del Vaticano e dunque la capitale simbolo di quell'Occidente cristiano e infedele che l'Isis sogna di conquistare.
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