
Il paradosso è evidente: il turismo enogastronomico vale oltre 40 miliardi di euro in Italia, eppure mancano le figure professionali per farlo crescere davvero. È come avere un motore potentissimo senza i meccanici qualificati per farlo funzionare al meglio.
La fotografia emerge dal primo Libro Bianco sulle professioni del turismo enogastronomico, presentato dall’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico insieme a un parterre di sigle pesanti: UnionCamere, Coldiretti, le associazioni delle Città dell’Olio e del Vino, fino all’Unione Italiana Vini. Un documento che non si limita a certificare il problema, ma traccia la mappa delle professioni del futuro in uno dei settori più dinamici del nostro turismo.
I numeri raccontano una storia di opportunità sprecate. La maggior parte delle aziende - cantine, frantoi, caseifici - apre solo parzialmente al pubblico e lo fa soprattutto nei giorni feriali, quando i flussi turistici sono ridotti. Nelle microimprese, il 73 per cento della gestione turistica resta nelle mani della proprietà, spesso con personale part-time e non specializzato. Solo nelle realtà con oltre 5.000 visitatori annui il 43 per cento ha sviluppato una business unit dedicata con manager e budget specifici.
“Attraverso una formazione adeguata è possibile sbloccare potenziale aggiuntivo sia in termini di valore economico che di nuovi posti di lavoro”, spiega la ricerca coordinata da Roberta Garibaldi, che ha mappato cinque profili professionali chiave per il settore. Il product manager per il turismo enogastronomico non lavora nelle aziende produttive, ma nelle Destination Management Organization e nei consorzi. Il suo compito è creare le sinergie necessarie per sviluppare un’offerta integrata che valorizzi il patrimonio locale, mettendo in rete le imprese per accompagnare il turista in tutte le fasi del viaggio. Più operativo l’hospitality manager, figura che l’82 per cento degli intervistati considera sempre più centrale. Si occupa di tutto: dalla pianificazione dei servizi turistici alla promozione sui mercati internazionali, dal coordinamento del personale alla vendita diretta. Le intenzioni di assunzione oscillano tra il 33 per cento e il 71 a seconda delle dimensioni aziendali.
Innovativa la figura del consulente di turismo enogastronomico, un professionista che può supportare le imprese nella strutturazione dell’esperienza turistica. Per l’imprenditore agricolo, esperto nella produzione ma spesso digiuno di marketing turistico, questa consulenza specializzata può fare la differenza. Trentino Marketing e l’ATL delle Langhe hanno già attivato questo tipo di supporto. Il curatore di esperienze enogastronomiche rappresenta forse la figura più affascinante: un libero professionista che organizza visite durante i momenti chiave come vendemmie e raccolte, crea itinerari integrati tra diverse realtà produttive, accompagna i turisti nelle esperienze. “Si pone come un ponte tra turismo ed enogastronomia”, sottolinea Garibaldi, “permettendo di valorizzare il potenziale dei laureati in Scienze Gastronomiche, dei sommelier, degli esperti di formaggi”.
Il documento non è solo teoria. Dietro ci sono anni di esperienza sul campo delle realtà che hanno costruito il sistema italiano di turismo enogastronomico, creando eventi diventati riferimenti internazionali e spingendo i propri associati verso progetti di accoglienza sempre più sofisticati.
La sfida ora è trasformare questa mappatura in percorsi formativi concreti e riconoscimenti professionali chiari.
Perché se è vero che il turismo enogastronomico può crescere ancora molto, è altrettanto vero che senza le competenze giuste rischia di rimanere un gigante dai piedi d’argilla. E con 40 miliardi in ballo, non possiamo permettercelo.