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"Primo passo, pronti a usare farmaci sperimentali"

Il direttore dell'ospedale romano: "Sono ottimista, ma non bisogna abbassare la guardia"

"Primo passo, pronti a usare farmaci sperimentali"

«Ci sono tanti parolai in giro, noi facciamo i fatti. Abbiamo isolato il virus ora proveremo a capire se alcuni farmaci sono utili alla cura dei pazienti. Insomma l'isolamento del virus ci permetterà di migliorare la risposta all'emergenza coronavirus, di conoscere meglio i meccanismi dell'epidemia e di predisporre le misure più appropriate».

Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani di Roma, è giustamente orgoglioso del risultato raggiunto dai suoi biologi, anzi dalle sue biologhe visto che il team diretta da Maria Rosaria Capobianchi è composta da 14 donne e un solo uomo. E grazie al «gruppetto rosa» anche l'Italia, come la Francia, il Giappone, Gli Usa e l'Australia ha sotto mano il virus vivo del coronavirus.

Professore non è sempre lo stesso virus quello isolato? Non ne bastava uno solo magari spedito da uno dei laboratori occidentali?

«Tra i virus isolati ci sono piccole differenze ma è estremamente importante confrontarle. Solo in questo modo si può contribuire a fornire vaccini e farmaci per contrastare il coronavirus su larga scala».

Se per il vaccino la strada è relativamente lunga, isolare il virus può servire da subito nella pratica clinica?

«Ai fini clinici possiamo ora provare in vitro farmaci che vengono proposti per capire se possono contrastare il virus. Inoltre possiamo perfezionare i test sierologici, cioè la ricerca degli anticorpi nel sangue».

Avete già in mente quali farmaci sperimentare?

«Non possiamo dire assolutamente nulla su questo fronte. Si è già sparlato abbastanza in giro, tutti voglio dire la loro. Ma la scienza non è fatta di parole o di allarmismi, bensì di risultati scientifici. E questo lavoro devono farli i virologi, i biologi, nel silenzio di un laboratorio, senza parlare troppo ma lavorando molto».

Dopo questa scoperta l'Italia diventa più autorevole?

«Certamente l'Italia diventa interlocutore di riferimento per questa ricerca. Ora anche i nostri dati saranno a disposizione della comunità internazionale. Si aprono spazi per nuovi test di diagnosi e vaccini. Aver isolato il virus significa poterlo studiare, capire e verificare meglio cosa si può fare per bloccare la diffusione. Il virus coltivato è indispensabile per capire come si elimina».

Pensa che nel nostro paese si possa verificare l'epidemia di cui parla l'Oms?

«Non ho la palla di vetro che mi predice il futuro ma sono ottimista sulla situazione italiana. Abbiamo una rete di sorveglianza predisposta per l'influenza grave che ci agevola nel caso in cui i contagi aumentino. Sul territorio nazionale ogni regione è dotata di strutture dedicate ai casi più critici».

Sulla base della sua esperienza il tempo gioca a nostro favore?

«Sicuramente. Più passano i giorni più il rischio del contagio di massa diminuisce. Io sono fiducioso ma ovviamente non bisogna abbassare la guardia. C'è bisogno di rafforzare il livello di preparazione per evitare allarmismi e gravi discriminazioni nei confronti di tanti cinesi che vivono nel nostro paese».

ECus

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