«Il Pd è una pentola in ebollizione». L'ennesimo, estenuante braccio di ferro nella maggioranza, che ha portato a un lunghissimo slittamento del decreto liquidità, annunciato lunedì come svolta epocale e «poderosa» da Conte ma arrivato alla firma del Quirinale solo nella notte di mercoledì, lascia uno strascico di veleni tra dem e Cinque Stelle, e dentro lo stesso Pd.
Nel gruppi parlamentari, descritti dall'interno come «pentola in ebollizione», si respira esasperazione. «Qui il governo si scordi di far passare quel decreto in modo indolore», avvertono a Montecitorio. I punti critici sono molti, due su tutti: il cedimento a Di Maio, che è riuscito ad imporre una doppia regia Economia-Farnesina sulla distribuzione dei prestiti alle imprese, e quello «alle banche». Spiega chi ha seguito la formazione del testo: «La linea di faglia è a Via XX Settembre, e rischia di scoppiare. Il tema è il totale dominio della burocrazia del ministero che marcia di conserva con Abi rischiamo misure che fanno un favore alle banche, anzichè inondare di liquidità il mercato».
Le proteste interne si riversano sui Cinque Stelle e su Conte, certo, ma anche sul segretario Zingaretti «appiattito sul premier più dei grillini», sul capo delegazione dem al governo Franceschini («Non esiste, non parla da settimane, non partecipa alle trattative». «Franceschini? Rivolgiamoci a 'Chi l'ha Visto'», sono le battute che si scambiano sulle chat interne i parlamentari), sul ministro dell'Economia Roberto Gualtieri. «Siamo diventati lo zerbino dei Cinque Stelle, ci beviamo ogni cosa: glu glu glu...», si sfoga una deputata. «Stiamo attivamente agevolando il ritorno in campo di Di Maio, che vuole riprendersi il controllo del partito». Il forsennato protagonismo del ministro degli Esteri, che passa le sue giornate all'aeroporto di Pratica di Mare ad accogliere «aiuti esteri» che si vanta di aver ottenuto, e che tutte le sere si fa intervistare mentre scarica alacremente pacchi di mascherine cinesi dai compiacenti Tg della Rai, sta irritando persino il sonnolento Nazareno, che anche per questo sta minacciando una resa dei conti con i vertici di Viale Mazzini.
Persino il pacatissimo capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, manda messaggi poco concilianti al governo, che si barrica dietro il «comitato scientifico» per proseguire la paralisi del lockdown che sta stremando il sistema produttivo. E rilancia con forza l'ipotesi di una «cabina di regia» che Conte (sempre atterrito dall'ombra di Draghi) teme come commissariamento. Com'è in effetti nelle intenzioni di molti, preoccupati dalla debolezza di un esecutivo incapace, si teme, di affrontare una durissima ripresa. «Pianifichiamo una transizione a rischio controllato, che è poi l'unica possibile. Ma facciamolo subito», dice in un colloquio con Il Foglio Delrio, che propone «un coinvolgimento delle migliori intelligenze del Paese in un progetto di pianificazione prudente ma determinata della riapertura». E a Conte, nascosto dietro il parere degli scienziati, dice: «I consigli dei virologi ed epidemiologi sono preziosissimi», ma ora «è arrivato il momento di ascoltare anche le istanze dei sindacati, degli imprenditori, degli economisti» che dicono che «si deve lavorare tutti insieme, sapendo che i diritti, come lavoro e salute, si rafforzano quando sono contemperati tra loro».
Pertanto, prosegue il capogruppo dem, «un Paese come l'Italia non può rassegnarsi all'idea che non si possa rimettere in moto il suo sistema produttivo con tutte le accortezze del caso, differenziando tra regioni e regioni, per classi di età e per categorie d'impianti», come chiedono le Confindustrie del Nord.
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