Procura di Milano nei guai al Csm. I giudici rivelano: manovre dei pm sulla sentenza Eni

Corridoi deserti. Porte chiuse. Musi lunghi. Bocche cucite. La sensazione palpabile che si sia consumato qualcosa di irreparabile, e che nulla possa riportare la serenità nell'ufficio giudiziario che per decenni ha svolto un ruolo cruciale nella vita del Paese

Procura di Milano nei guai al Csm. I giudici rivelano: manovre dei pm sulla sentenza Eni

Corridoi deserti. Porte chiuse. Musi lunghi. Bocche cucite. La sensazione palpabile che si sia consumato qualcosa di irreparabile, e che nulla possa riportare la serenità nell'ufficio giudiziario che per decenni ha svolto un ruolo cruciale nella vita del Paese. Il «day after» della Procura della Repubblica di Milano, dopo la ribellione di quasi tutti i pubblici ministeri contro il capo Francesco Greco e in difesa del collega Paolo Storari, racconta anche visivamente come si sia toccato il punto di non ritorno. L'ufficio del procuratore Greco è chiuso e buio, buie le stanze dei pochi magistrati che gli sono rimasti vicini, quelli del «cerchio magico» contro cui durava da mesi il mugugno che il «caso Storari» ha scatenato.

La partita, ieri e oggi, si gioca 500 chilometri più a sud, nella sede del Consiglio superiore della magistratura, investito in pieno dal ciclone dei verbali del «caso Amara» e dai veleni della Procura milanese. Davanti al Csm oggi sfileranno una lunga serie di toghe milanesi: compresi i leader della protesta, il capo dell'Antiterrorismo Alberto Nobili e la giovane pm Francesca Crupi. Ma già ieri è stato sentito il magistrato che di questa vicenda è incolpevolmente al centro: Marco Tremolada, il giudice del caso Eni che il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale (con la benedizione o almeno la tolleranza di Greco) ha cercato di infangare usando i verbali di Amara, per impedirgli di assolvere gli imputati. È stato quello il primo errore del «cerchio magico».

L'interrogatorio di Tremolada dura poco più di mezz'ora. Avviene a porte chiuse, i verbali sono secretati. Ma si apprende che sia Tremolada che il suo superiore diretto, il presidente del tribunale Roberto Bichi, hanno confermato il dato cruciale, quello da cui nasce tutto: le pressioni della Procura per condizionare l'esito del processo Eni. Hanno risposto alle domande dei membri del Csm, hanno fornito carte. E le loro rivelazioni condizioneranno inevitabilmente la scelta delicata che attende il Csm venerdì, quando il Consiglio dovrà decidere la sorte di Storari, di cui il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi ha chiesto la rimozione immediata da Milano in quanto nocivo alla «serenità» dell'ufficio. Il documento firmato da oltre cento magistrati dimostra che se qualcuno a Milano turba la serenità del palazzo di giustizia non è certo Storari. Ieri Tremolada e Bichi indicano che i problemi erano ben altri. E se Nobili e gli altri confermeranno il contenuto della lettera, per il Csm cacciare Storari diverrà impossibile. Ma a questo punto è chiaro che se Storari viene lasciato a Milano a uscire sconfitto dal caso è, insieme agli attuali vertici della Procura milanese, anche Giovanni Salvi, il pg della Cassazione, il magistrato più potente d'Italia.

E c'è già chi sta affilando le armi contro il pg: ieri in difesa di Storari scende in campo Articolo 101, la agguerrita corrente di minoranza dell'Associazione nazionale magistrati.

È possibile, dice in un comunicato, che della vicenda Amara «l'unico chiamato a risponderne sia Storari»? Ma soprattutto viene sollevato il problema della «credibilità del procuratore generale Giovanni Salvi»: «È noto che il procuratore generale appartiene alla corrente a cui per tradizione è affidata la guida della Procura di Milano, scena principale dello spettacolo in cui si inserisce la condotta contestata a Storari». Cioè Magistratura democratica.

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