U n governo «istituzionale» sostenuto dai grillini (senza Di Maio) e dal Pd (senza Renzi), più Liberi e uguali. Il nome del premier c'è già: Giorgio Lattanzi, da non confondere con il più noto Vito Lattanzio, che era il ministro Dc della Difesa che si fece scappare il nazista Kappler in una valigia, secondo la leggenda. Lattanzio è però defunto da vari anni, Lattanzi invece è da qualche settimana presidente della Corte Costituzionale, ergo spendibilissimo.
Lo scenario può apparire un filo prematuro e alquanto fantasioso, visto che neppure sono iniziate le consultazioni, ma tra corridoi e salotti della politica c'è già chi ne parla con grande convinzione, segnatamente a sinistra, come raccontava ieri un informato retroscena della Stampa. Ad alimentarlo, oltre a pezzi di establishment ansiosi di ripulire e «costituzionalizzare» i M5s, sono soprattutto gli esponenti di Leu, la sfortunata creatura politica di Bersani e D'Alema, che comprensibilmente cercano un modo per tornare nel regno dei vivi (politicamente parlando) e sarebbero prontissimi ad appoggiare un siffatto governo. Ma siccome in Parlamento i Leu sono quattro gatti, è necessario convincere il Pd ad essere della partita.
L'ostacolo sul loro cammino, tanto per cambiare, si chiama Matteo Renzi. Così la rumorosa fronda interna al Pd, che scalpita contro la linea dell'opposizione, finisce per far da sponda a questi arzigogolati piani. C'è chi assicura che Paolo Gentiloni sarebbe d'accordo con la fronda dei «responsabili» (animata da Orlando, Franceschini, Veltroni etc.) e che, passato senza costrutto il primo giro di consultazioni, potrebbe dirlo apertamente e dare il via al ribaltone anti-Renzi. La risposta del premier a chi si informava sull'attendibilità di queste voci è stata icastica: «Tutte cazzate». C'è chi annuncia che Romano Prodi (che spera nel Cavaliere per stoppare un governo Di Maio-Salvini: «Berlusconi non lo consentirà mai», dice) si starebbe preparando a lanciare un appello alla responsabilità per stanare il Pd e spingerlo verso il governo Cinque stelle-centrosinistra, Lattanzi o non Lattanzi. C'è chi prevede invece un analogo appello della consueta compagnia di giro di intellettuali firmaioli, con la regia di Veltroni. Il cui ragionamento è più articolato: «Se Salvini e Di Maio non riescono ad accordarsi, come io mi auguro, Mattarella non porterà automaticamente l'Italia al voto, ma cercherà di far nascere comunque un esecutivo. E il Pd non può tenersi fuori». Il timore del fondatore del Pd (e di Prodi) è che invece Renzi a quel punto «tenti di accordarsi con Berlusconi» per far partire un governo col centrodestra. Ipotesi da sventare.
Il Pd, grande sconfitto del voto, resta così al centro di tutti gli incroci possibili, tranne quello apertamente auspicato dai renziani: «Non vedo l'ora che giuri un governo Di Maio-Salvini», dice il capogruppo al Senato Marcucci. Il reggente Martina replica che lui, invece, ne è «preoccupato». La nascita di un governo dei populisti spianerebbe al Pd la strada dell'opposizione europeista e liberal-democratica e della «macronizzazione» renziana. Con l'ex segretario ancora a tirarne i fili. Mentre l'Assemblea nazionale che deve eleggere il nuovo segretario verrà rinviata a «fine crisi». E questo spiega perché tanti Dem scalpitino e si agitino anzitempo contro la perdurante egemonia renziana, che detta la linea dell'opposizione. «Ma metterla in discussione ora è solo un regalo a Di Maio, che così può usare il secondo forno Pd per alzare il prezzo», ragiona il sottosegretario Giacomelli.
«È un errore blu discutere di subordinate quando sono lui e Salvini che devono fare un accordo o spiegare perché non riescono». Quanto al governo Pd-M5s nota: «Servirebbero i voti di tutti i Dem: mi pare assai difficile».
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