Bevanda stimolante a base di caffeina contro infuso blandamente sedativo. Lo stile funky di Renzi a confronto con la flemma sorniona da aristocrazia romana del presidente del consiglio. Se non fosse stato lo stesso segretario del Pd a proporre il confronto Paolo Gentiloni avrebbe avuto buone ragioni per irritarsi. Ma a Renzi si perdona tutto. Anche l'intervista rilasciata ieri al Foglio, zeppa di scudisciate ai nemici (tipo Massimo D'Alema che ha come unico obiettivo quello di conquistare «uno strapuntino in Parlamento») e scappellotti agli amici. «Se Paolo ha detto che lui è come la camomilla, allora dico che io assomiglio di più alla Red Bull». Riferimento alla bevanda made in Austria che ha così trovato uno sponsor inatteso. «Ci sono dei momenti in cui serve la camomilla e dei momenti in cui serve la Red Bull. Forse anche per questa diversità Gentiloni e io non litigheremo mai», ha spiegato Renzi.
Toni scanzonati per nascondere tensioni che, a due giorni dalla ufficializzazione delle candidature, sono più che mai vive. Ieri è arrivato lo sfogo dell'ex presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta, non ricandidato. Dopo la rottamazione, accusa, è entrato in gioco il «blocco di potere italiano e siciliano. Il blocco di potere della Sicilia e affaristico, mafioso, massone, ed è dentro questo blocco che nascono diverse candidature del Pd in Sicilia». Il Pd «è diventato il lato B di Forza Italia». Malumori fisiologici quando a livello nazionale si sacrificano personalità locali, pur rilevanti.
Ma Renzi non si è limitato a sacrificare personalità non centrali per il Pd. Il gioco delle candidature ha penalizzato personalità di peso del partito. Marco Minniti, ministro dell'interno che per un po' ha goduto di un consenso bipartisan. Sono rimasti fuori personalità a lui vicine, come Andrea Manciulli, Nicola Latorre ed Enzo Amendola. Ma sono rimasti fuori anche blasonatissimi democratici vicini all'ex capo dello stato Giorgio Napolitano, ad esempio Enrico Morando. E gentiloniani doc come Ermete Realacci. Un messaggio chiaro rivolto agli amici di oggi: niente truppe di fedelissimi in Parlamento.
Stop anche all'opposizione interna. La sinistra del Pd, dopo la rinuncia di Gianni Cuperlo, sembra ripercorrere la strada già tracciata da Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani, usciti dal partito fatto a immagine e somiglianza di Renzi.
Un sostegno importante al segretario Pd ieri è arrivato da un nome di peso della sinistra, Romano Prodi. «Ho sempre lavorato per la unità del centrosinistra e quindi io solo questo posso ripetere. Però Liberi e uguali di Pietro Grasso si presenta alle elezioni politiche contro il Pd in tutta Italia» e quindi «non è per l'unità del Centrosinistra. Punto». E invece Renzi sì? «Renzi, il gruppo che gli sta attorno, il Pd e chi ha fatto gli accordi con il Pd sono per l'unità del centrosinistra». Didascalico e con poca passione il Prodi che emerge dall'intervista ad Affaritaliani.
Ma quello dell'ex premier è un riconoscimento importante per il segretario Pd (ieri l'organo Pd Democratica gli dava ampio) e una delegittimazione che agita Leu e delegittima il leader Pietro Grasso. Che in serata infatti replica: «È sotto gli occhi di tutti che il centrosinistra non si è potuto ricomporre per volontà di Renzi e delle sue otto fiducie sulla legge elettorale».
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