«Il ciclo del governo Grillo-Savini durerà meno del mio», assicura Matteo Renzi. E rincuora le truppe dei suoi deputati e senatori, riuniti a cena giovedì sera a Roma: «Dobbiamo farci trovar pronti: toccherà di nuovo a noi. E molto prima del previsto».
Giudizi simili a quelli espressi pochi giorni fa dal capo dell'altro partito di opposizione, Forza Italia: «La bolla di consenso che oggi accompagna i partiti di governo si sgonfierà velocemente, e la politica ricomincerà a correre. Nel giro di alcuni mesi questo governò può finire», ha avvertito ventiquattro ore prima Silvio Berlusconi, parlando davanti ai suoi parlamentari.
Per entrambi, l'appuntamento con il redde rationem verrà in autunno, quando il governo gialloverde dovrà varare la sua Finanziaria: e lì, sono convinti sia l'ex leader Pd che il Cavaliere, le contraddizioni della maggioranza e l'inconciliabilità tra i vincoli di bilancio presidiati dal ministro Tria e la necessità di Salvini e Di Maio di concretizzare le loro favolose promesse elettorali (dal reddito di cittadinanza alla flat tax) esploderanno. E per le opposizioni verrà allora il momento di riprendersi la scena.
Quanto il ragionamento dei due leader sia basato su convizioni reali e quanto su un wishful thinking, e sulla necessità di dare una prospettiva di riscatto alle proprie basi parlamentari, è difficile dirlo. «Matteo è davvero convinto che le dinamiche politiche messe in moto da Salvini lo porteranno a far saltare tutto», dice un ex uomo di governo Pd che ha partecipato alla cena renziana. Che però nutre qualche dubbio: «Il potere, come dimostra la vicenda Rai, è un collante potente. E loro vogliono intanto vincere le Europee, e poi resistere fino all'elezione del prossimo presidente della Repubblica: a quel punto l'Italia sarebbe nelle loro mani».
Di certo, la linea brancolante del Pd di Martina non piace a Renzi: «Invece di fare opposizione aperta sul Decreto Disoccupazione di Di Maio, difendendo i risultati del Jobs Act, ci si è imbarcati in trattative per strappare qualche miglioria». La cena autofinanziata organizzata da Renzi sull'Aventino serviva innanzitutto a contare le sue truppe per mandare un messaggio interno, in vista della battaglia congressuale: «Se perdiamo il congresso, il Pd muore», è il verdetto dell'ex premier. Un modo per far intendere che, se prevarrà la linea di chi vuol portare Zingaretti alla segreteria, spostando l'asse dem a sinistra e aprendo il dialogo con i Cinque Stelle, l'ala renziana potrebbe anche strappare. Il problema è che i renziani sono senza candidato (o candidata, ha tenuto a sottolineare Renzi): c'è chi pensa a Delrio e chi a Teresa Bellanova, ma nessuna decisione è stata presa.
E nel Pd prende corpo l'idea che il congresso, sulla carta previsto a marzo, potrebbe essere rinviato a dopo le Europee: «Del resto, finché non sappiamo cosa accadrà in autunno è difficile decidere - ragiona un esponente renziano - potrebbe saltare tutto, e noi ci infiliamo nel tunnel del congresso? Per carità».
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