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"Propaganda alla Stalin. Discorso orwelliano in tv per stravolgere la storia"

Il ricercatore: è dal Medioevo che Kiev afferma la sua identità. I filo russi sono una minoranza

"Propaganda alla Stalin. Discorso orwelliano in tv per stravolgere la storia"

«Un discorso orwelliano». Lo definisce così, senza mezzi termini l'ucrainista Max Di Pasquale, ricercatore associato dell'Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici, il discorso a reti unificate che lunedì ha fatto saltare dalla sedia fior di analisti politici. Una doccia fredda le parole di Putin per molti, a partire dai leader che si sono seduti a quell'ormai famoso, lunghissimo tavolo made in Cantù. Eppure, per Di Pasquale non c'è sorpresa. Lo studioso che in questi anni con le sue pubblicazioni quali Ucraina terra di confine. Viaggi nell'Europa sconosciuta, e Abbecedario ucraino ha fatto conoscere l'Ucraina al grande pubblico italiano, era convinto che «lo zar» non si sarebbe fermato. Dalla Crimea, 8 anni fa, Putin ha messo in atto il primo esempio di guerra ibrida su larga scala ben più pericolosa di una guerra convenzionale fatta non solo di armi ma anche di fake news per spaccare la società. E non si fermerà.

Cosa c'è dietro alle mire russe?

«La paura. Paura che il germe della democrazia si diffonda fin dentro ai confini russi».

Putin parla dell'Ucraina come di una invenzione, creata da Lenin strappando dei territori russi. È così?

«Ma niente affatto. Anzi sarebbe vero il contrario».

In che senso?

«Pura propaganda utilitaristica. Ma non è nuova. Anche Stalin parlava dell'Ucraina come di un'arma in mano all'Occidente. Come vede Putin non si è inventato niente di nuovo. Putin poi in questi anni lo ha detto più volte in diverse occasioni. Secondo la sua narrazione i russi e gli ucraini sarebbero uno stesso popolo. Lo ha dichiarato nel 2014 con la crisi nel Donbass, prendendosi la Crimea».

Ma è la verità?

«No, assolutamente. Una falsità storica, una distorsione a suo uso e consumo. Per far leva su un neanche troppo acceso spirito nazionalistico».

Ma ha ragione nel dire che i russi e gli ucraini sono lo stesso popolo?

«Hanno avuto una storia comune se vogliamo, causa guerre e alleanze, egemonie. Ma i popoli sono distinti. Nel Medioevo la Rus' di Kiev, aveva Kiev capitale, era Kiev la città di riferimento rispetto a Moscovia che nel 1240 subisce poi l'invasione dei Mongoli, una sovranità altamente repressiva, mentre l'Ucraina finisce sotto il Gran Ducato di Polonia e Lituania, più aperto, con uno sviluppo culturale diverso, europeo. Due popoli con uno sviluppo totalmente diverso».

Quindi due identità culturali che si distingueranno nel corso degli anni?

«Sì, già nel '600 l'Ucraina cerca una sua indipendenza e chiaramente si ritrova ad allearsi con i vicini per tornaconti politici. Ma c'è un altro passaggio fondamentale che spiega l'abisso tra le due culture: nel 1709 la battaglia di Poltava segna la fine dell'indipendenza del Cosaccato ucraino, alleato degli svedesi, sconfitto da Pietro il Grande. È l'inizio dell'Impero russo. Inizia l'operazione di russificazione, ma allo stesso tempo, si appropria delle radici culturali della Rus' di Kiev proprio per dare alla Moscovia una identità europea che lui anelava ma che in realtà non le apparteneva».

Perchè?

«Pietro il Grande guardava all'Europa più che all'Asia. E non è un caso che eurasisti come Putin odiano Pietro il Grande».

Eppure Putin fa leva sul nazionalismo filo sovietico degli ucraini.

«Una minoranza. Invece è vero che i sentimenti nazionalistici ucraini lavorano da sempre: dal collasso dell'Impero Russo e di quello Austro Ungarico, con la dichiarazione di indipendenza nel 1919. E non si affievolì nemmeno sotto al regime sovietico.

Che portò all'indipendenza del 1991».

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