di Giovanni Gobber*
L o chiamavano maturità ed era solo un esame uno di quelli facili, ché passano quasi tutti e c'è da chiedersi a che serva: costa molto allo Stato e alle parti in causa, ma non dà grandi informazioni sulla qualità dell'esaminato, che dovrà fare esami di ammissione un po' dappertutto, nei mesi che seguiranno le vacanze estive. È lecito pensare che si potrebbe abolire: a ben vedere, bastano gli scrutini, dove operano insegnanti che conoscono i loro allievi meglio dei commissari d'esame. Già oggi, finita la scuola, chi va a lavorare sarà esaminato in entrata dalle aziende; chi vuole studiare in corsi prestigiosi in università dovrà superare una selezione all'ingresso, e dove questa non ci sia, affrontare esami universitari impegnativi.
Meglio la selezione all'ingresso che un rituale fuori moda alla fine della fiera. Sembra che la maturità faccia parlare di sé perché, tra gli adulti, circola ancora l'impressione che sia una prova da sport estremo. Invece è probabile che sia meno pesante dei veri esami che gli studenti coinvolti nella vicenda hanno già superato per le varie materie.
Alla maturità, chi esamina dà un giudizio, che per quanto imparziale e onesto non è slegato dal contesto storico e sociale concreto in cui si avviene la valutazione. Il voto registra una competenza che può mutare rapidamente nel tempo: a giugno sembrava che ci fosse l'arrosto, a ottobre resta solo il fumo, anche se con il 100 e lode. Il rischio vale per le competenze nelle lingue più ancora che nelle altre materie. A dire il vero, una lingua non è una materia come le altre. Eppure, è trattata come se fosse tale. Per di più, l'esame fondamentale di lingua è scritto. I maligni dicono che la preparazione sia verificata sullo scritto anche perché le competenze orali degli insegnanti non sempre sarebbero soddisfacenti. Vi è un fatto: dopo tredici anni di lezioni di inglese, gran parte dei giovani studenti italiani non ha acquisito una buona pronuncia della lingua. A scuola si privilegiano le competenze comunicative, ma non sempre lo strumento, la lingua, è padroneggiato in modo accettabile.
Sembra che sia tralasciato un particolare decisivo: apprendere una lingua non solo coinvolge comprensione ed emozione, ma è anche attività psicofisica: da una parte, bisogna adattare l'apparato fonatorio alla pronuncia, al ritmo, all'intonazione; dall'altra sviluppare la capacità di percepire e interpretare il suono prodotto con i mezzi di un'altra lingua. Una lingua è una disciplina simile all'attività sportiva: per apprendere bisogna allenare il corpo. Ogni lingua è anche una struttura simbolica, che si applica alla realtà e la interpreta: ciascuna offre un punto di vista diverso sul mondo. Si è acquisita una lingua se si è assimilata la prospettiva culturale che in quella lingua si manifesta e influisce sulla vita quotidiana di una comunità.
É ragionevole ritenere che l'inglese si sia appreso quando si dimostri la capacità di parlare, muoversi, comportarsi da anglofoni e si riesca a vedere come sia il mondo dal punto di vista della lingua inglese. Vaste programme.*Preside della facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere dell'Università Cattolica del Sacro Cuore
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