Prova del nove per il populismo

Con il bis delle presidenziali austriache, comincia l'anno "caldo" dell'Europa

Prova del nove per il populismo

Domani, con il bis delle presidenziali austriache, comincia l'anno elettorale più caldo della recente storia europea. Dopo che a Vienna, si voterà nell'ordine in Olanda, in Francia e in Germania (e possibilmente anche in Italia) e il tema, pur con qualche variazione, sarà ovunque lo stesso: partiti tradizionali contro partiti populisti. Con l'eccezione dell'Austria, dove è probabile il successo di un Hofer che ieri, a conclusione della campagna, ha ammorbidito i toni alla caccia di voti moderati, e dell'Olanda, dove Geert Wilders ha la possibilità di diventare primo ministro di una coalizione, i partiti tradizionali dovrebbero ancora prevalere. Fillon, il candidato repubblicano con radici nella Francia profonda, sembra in grado di respingere l'assalto di Marine Le Pen, con l'aiuto «contronatura», ma indispensabile, dei socialisti il cui candidato chiunque sia verrà eliminato al primo turno. La Merkel, a sua volta, ha la ragionevole certezza di essere rieletta cancelliera, ma se Alternative für Deutschland dovesse superare il 12% sarebbe per lei un autentico schiaffo.

Ma più che fare pronostici, a questo punto è necessario riflettere su che cosa c'è dietro quello che, per semplicità, viene definito populismo. Con le inevitabili differenze tra un Paese e l'altro, mi sembra che esso abbia tre componenti. 1) Una sempre minore fiducia nella democrazia liberale come forma di governo: secondo un recentissimo studio americano, il numero dei cittadini, soprattutto giovani, che ritiene questo sistema inefficace, corrotto e penalizzante è in crescita su entrambe le sponde dell'Atlantico, al punto che il 19% non sarebbe contrario a una utopistica dittatura illuminata. 2) Il rigetto del globalismo, come causa del progressivo trasferimento di ricchezza dall'Occidente ai Paesi emergenti dove sono state trasferite tante produzioni: questo rigetto, come dimostra la vittoria di Trump in America, è particolarmente forte nella classe operaia e nella piccola borghesia, che più di altre categorie hanno perduto potere d'acquisto e posti di lavoro. 3) Una reazione degli uomini bianchi, europei ed americani, che dopo avere dominato da sempre il mondo, si sentono adesso minacciati nella loro identità, nella loro cultura e addirittura a lungo termine nella loro sopravvivenza dalle ondate migratorie che stanno sommergendo l'Occidente. Per quanto riguarda l'America, è già stata coniata la definizione di «nazionalismo bianco», cioè una nostalgia condita da un sottofondo di razzismo - del tempo in cui i cittadini di origine europea erano i soli padroni del vapore. Per l'Europa potremmo, con un po' di fantasia, parlare di «sindrome dell'impero romano»: l'inarrestabile aumento della popolazione africana e asiatica, specie se di religione musulmana, e il sostanziale fallimento della sua integrazione hanno suscitato in vasti strati della popolazione un sentimento insieme di rigetto e di paura che visto come vanno le cose non potrà che aumentare.

I populisti guadagnano terreno perché si sono sintonizzati meglio dei partiti tradizionali con questi sentimenti di fondo. I rimedi che propongono sono in genere irrealizzabili, ma non importa, perché si rivolgono non al cervello, ma alla pancia della gente. Nel 2017, avremo la prova del nove di quanta strada riusciranno ancora a fare.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica