Guerra in Ucraina

Putin, la Cina è vicina. Xi sostiene l'aggressione: "Una risposta legittima"

La Cina continua a chiedere alla Russia di cercare una soluzione negoziale al conflitto che ha scatenato in Ucraina, ma rimane il suo partner incrollabile "di fronte alle complesse sfide internazionali"

Putin, la Cina è vicina. Xi sostiene l'aggressione: "Una risposta legittima"

La Cina continua a chiedere alla Russia di cercare una soluzione negoziale al conflitto che ha scatenato in Ucraina, ma rimane il suo partner incrollabile «di fronte alle complesse sfide internazionali». È questa la sintesi estrema dello scambio telefonico intercorso ieri tra Xi Jinping e Vladimir Putin. È stato il presidente-dittatore russo a chiamare il suo collega cinese, cogliendo l'occasione degli auguri per il suo 69esimo compleanno (i due, oltre che professarsi grandi amici, sono anche coetanei: Putin ne compirà 70 il prossimo 7 ottobre). Secondo fonti del Cremlino, sono stati confermati «il livello senza precedenti e in costante miglioramento» delle relazioni bilaterali tra i due colossi autocratici globali, oltre che la volontà di «rafforzare la cooperazione nei settori energetico, finanziario e industriale alla luce delle illegali sanzioni occidentali»: il che significa in termini semplificati che Pechino intende aiutare Mosca che è stata messa in difficoltà.

Ma non è tutto. Xi avrebbe anche detto che «le azioni della Russia per la tutela dei suoi interessi nazionali a fronte delle sfide esterne sono legittime». Frase che richiede una spiegazione. Sempre traducendo dal diplomatese cinese, il senso dovrebbe essere che Putin ha il sostegno di Xi nella sua aggressione all'Ucraina e in tutte le varie iniziative che prende nei confronti dell'Occidente partner di Kiev. In realtà, le cose sono più complesse. Per la Cina, la guerra scatenata in Ucraina è un problema sia perché vuole mantenere per varie ragioni buoni rapporti anche con l'Ucraina, sia perché non vuole subire i pericolosi contraccolpi economici che deriverebbero da una violazione cinese delle sanzioni che l'Occidente ha imposto alla Russia. Ed è per questo Pechino insiste, almeno a parole, affinché Putin persegua una soluzione negoziale al conflitto (proprio mentre il Cremlino continua ad accusare l'Occidente di cercare in Ucraina una pericolosa escalation militare e afferma che gli spazi di dialogo con l'Europa sono ormai quasi azzerati).

Al tempo stesso, però, Xi mette in chiaro con Biden e con gli europei di non essere disposto a prendere una posizione equidistante tra loro e Putin: e quindi ribadisce con adeguata enfasi la solidità dell'alleanza che ormai lega Pechino a Mosca. Ed ecco quindi squadernato l'armamentario retorico dell'«amicizia senza limiti» e della partnership «senza aree di cooperazione proibite», oltre alla più concreta promessa di collaborare sempre di più in futuro a partire dall'Onu dove entrambi dispongono del fondamentale diritto di veto in Consiglio di Sicurezza - sul piano strategico globale.

Quest'ultimo è un aspetto molto interessante. Da una parte, infatti, è la conferma del fatto che Xi e Putin si sono legati l'uno all'altro per sfidare il «decadente» mondo occidentale e il sistema a guida americana che ancora esercita la sua egemonia globale; dall'altra spiega gli sforzi che il Cremlino sta compiendo in questa fase di isolamento internazionale per raccogliere attorno a sé un seguito di Paesi simpatizzanti: questi sforzi hanno un fine economico, ma soprattutto politico, e hanno a che vedere col tentativo di costituire una specie di internazionale, se non dell'autoritarismo, del rifiuto dell'egemonia occidentale.

Un'internazionale che si manifesta in questi giorni e fino a sabato a San Pietroburgo in quella che è stata un po' ridicolmente definita la «Davos russa»: il Forum economico internazionale che ha aperto ieri la sua venticinquesima edizione con uno slogan non casuale, «Nuove opportunità in un nuovo mondo». Nella metropoli russa sul Baltico si aggirano, accanto agli esponenti del super alleato cinese, delegati di Repubbliche post sovietiche come Bielorussia, Kazakistan e Armenia, emissari di Paesi-canaglia legati a doppio filo con Mosca come Iran, Venezuela, Nicaragua e Siria, ma anche inviati di governi che scelgono per motivi economici di non condannare Putin per la sua guerra ingiustificabile: è il caso tra gli altri dell'Egitto, del Messico, del Brasile e della Colombia.

Occidentali praticamente assenti, con l'eccezione di qualche tavola rotonda che fa da foglia di fico.

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