Putin, Erdogan e l'Iran ringraziano. E il Medio Oriente rischia l'incendio

La strategia del tycoon decreta un incredibile suicidio strategico

Putin, Erdogan e l'Iran ringraziano. E il Medio Oriente rischia l'incendio

I madornali errori natalizi di Donald Trump nel vicino Oriente costeranno cari agli Stati Uniti e di riflesso a noi europei della Nato, al traino dello zio Sam. Per non parlare della situazione sul terreno in Siria e Afghanistan e dei bilanciamenti strategici sempre più a favore dei russi in tutta l'area, che continua ad essere un crogiuolo di conflitti. Sembra assurdo, ma il disimpegno americano aprirà il varco a una maggiore penetrazione dell'Iran, che il presidente americano vede come fumo negli occhi. E un probabile scontro diretto con Israele, che potrebbe allargarsi a macchia d'olio in tutto il Medio Oriente.

Non è un caso che i colpi di testa di Trump siano stati marchiati dalle polemiche dimissioni del segretario della Difesa, Jim Mattis, un ex generale dei marines temuto quanto rispettato nello scenario internazionale.

L'ultimo annuncio a sorpresa del dimezzamento delle truppe in Afghanistan farà brindare i talebani anche se sono astemi per imposizione del Corano. In questo delicato momento, pochi mesi prima delle elezioni presidenziali, ritirare settemila uomini di un contingente ai minimi livelli può solo che favorire le bande islamiste, che già infestano oltre la metà dell'Afghanistan. I comandanti Usa sul terreno, al contrario, avevano chiesto ulteriori rinforzi. Le truppe di Kabul perdono 30-40 uomini al giorno e con settemila americani in meno, che appoggiano con i corpi speciali e gli attacchi aerei gli alleati afghani, andrà sempre peggio. Non a caso, dopo l'annuncio di Trump, la Nato ha ribadito che «la lotta al terrorismo non è terminata». Se ci ritroveremo con i talebani a Kabul dovremo ringraziare la Casa Bianca.

Indecente anche il ritiro dalla Siria, dove Washington abbandona gli alleati curdi dopo averli usati come carne da cannone per liberare Raqqa, la storica «capitale» dello Stato islamico. Il 14 dicembre alla vigilia dell'annuncio del ritiro del contingente americano di 2000 uomini, che garantisce appoggio aereo e di artiglieria contro l'Isis, veniva conquistata Haijn, una delle ultime roccaforti del Califfo. Ieri le milizie jihadiste hanno contrattaccato duramente per dimostrare che le bandiere nere non sono finite come si è vantato Trump.

Il ritiro Usa lascia mano libera ai turchi, che non vedono l'ora di scatenare un'ampia offensiva già pianificata per spazzare via i curdi. E nonostante il sultano Erdogan proclami che combatterà anche i resti dell'Isis, in realtà farà avanzare i ribelli siriani oramai infettati dal morbo jihadista con il beneplacito di Washington.

Non solo: il vuoto americano verrà riempito dai russi e dall'Iran, che avrà gioco facile in Siria rischiando di accendere la scintilla

di un conflitto diretto con Israele. Una guerra che potrebbe allargarsi a gran parte del Medio Oriente con gli Hezbollah in Libano, i sauditi, i palestinesi facendo impallidire le mattanze attuali in Siria o nello Yemen.

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