Putin grazia il killer della Politkovskaya

L'assassino della giornalista si arruola: scarcerato. La famiglia: "Una mostruosa ingiustizia"

Putin grazia il killer della Politkovskaya
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Un italiano qualunque distratto, oppure abituato a informarsi badando soltanto ai titoli principali di giornali e telegiornali, potrebbe pensare che la guerra in Ucraina sia finita. Nessuno ne parla più, la volubile attenzione dei media e della politica è virata sulla tragedia mediorientale e così il conflitto che da quasi due anni insanguina un Paese europeo e del quale eravamo ormai abituati a seguire le tragiche vicende con bollettini quotidiani scompare dai radar nonostante stia continuando tale e quale a prima del 7 ottobre. Ci voleva una notizia «forte», di quelle in grado (se sei disponibile) di farti riflettere e ricordare come i limiti del male considerati già estremi possano sempre e ancora essere superati, per riportare in pagina Russia e Ucraina.

Ed eccola, la notizia. Il presidente russo Vladimir Putin ha concesso la grazia a uno degli assassini condannati a vent'anni di carcere per l'omicidio avvenuto il 7 ottobre 2006, giorno del compleanno di Putin di Anna Politkovskaya. E cos'ha fatto Sergei Khadzhikurbanov per meritare tanto? Si è arruolato per combattere contro gli ucraini. Un cerchio perfetto di infamie che si chiude: uccidi un'oppositrice del regime e vai in prigione pagando per i mandanti che non sono mai stati individuati, proprio come quelli di tutti gli altri omicidi di Stato putiniani, indossi la divisa per partecipare all'aggressione di un Paese che lo stesso regime vuol cancellare dalle carte geografiche e ottieni la grazia.

La giornalista investigativa di Novaya Gazeta - un giornale russo un po' troppo indipendente, tanto che la sua redazione è stata trasferita all'estero nonostante il suo direttore abbia ricevuto il Nobel per la Pace - era il simbolo di un'opposizione razionale e senza sconti a quello che già allora si avviava a diventare un regime. Lei lo diceva sempre più apertamente e godeva in Russia di crescente notorietà e popolarità. Fu ammazzata a 48 anni con quattro colpi di pistola sparati a bruciapelo mentre aspettava l'ascensore nell'atrio del condominio di Mosca dove abitava (l'avvocato Markelov, che seguiva il suo caso, morì avvelenato tre anni dopo, nelle consuete «circostanze misteriose», così come un paio di coimputati dalla bocca un po' troppo larga in quel caso scomodissimo per Putin). Qualcuno notò che quell'assassinio eccellente compiuto proprio il 7 ottobre somigliava davvero tanto a un regalo di compleanno per il leader che stava cominciando a farsi dittatore, ma nessun giudice russo arrivò mai a certi livelli: troppo pericoloso.

«Una mostruosa ingiustizia», ha commentato la famiglia della giornalista. Il ceceno Khadzhikurbanov è una delle tre persone condannate per l'organizzazione dell'omicidio della giornalista. L'anno scorso era stato scarcerato perché aveva accettato di combattere in Ucraina, uno delle migliaia di detenuti in Russia che hanno scelto di giocarsi la sorte sul campo di battaglia. Tantissimi sono morti, usati come carne da cannone nei ranghi della milizia Wagner in posti terrificanti come Bakhmut. Altri, sopravvissuti per sei mesi al tritacarne bellico, hanno ottenuto amnistia e libertà come da contratto con lo Stato russo.

In non pochi casi si è trattato di personaggi poco raccomandabili, assassini che sono tornati a uccidere o rapinatori che sono tornati a rapinare: ma nel caso di Khadzhikurbanov, che in Ucraina è diventato comandante di un reparto d'assalto e ha firmato per continuare a combattere da uomo libero, a disturbare è ben altro.

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