Putin in Iran per i droni. E Mosca alza il tiro: "Scontro atomico vicino"

Settimana prossima a Teheran, Biden oggi a Abu Dhabi. Il Cremlino: "No a nuovi negoziati"

Putin in Iran per i droni. E Mosca alza il tiro: "Scontro atomico vicino"

Se non è Guerra Fredda, ci somiglia. Putin va all'attacco in Medio Oriente e disegna alleanze alternative a quelle che gli Stati Uniti cercano di cementare in questi giorni. Mentre Israele chiude le strade centrali e blocca l'intera capitale per ricevere il presidente americano Biden, Putin impacchetta il suo potere per volare il 19 a Teheran. Pochi giorni perché le telecamere si spostino da Gerusalemme e poi da Riad, dove Biden farà tappa cercando di cementare un nuovo bastione mediorentale, e i giornalisti potranno fotografare nella capitale dell'Iran quello che Reagan avrebbe forse definito nuovo «asse del male».

Putin ed Erdogan saranno ospiti di Ebrahim Raisi, un primo ministro che nel passato ha condannato a morte decine di migliaia di persone a nome del regime degli Ayatollah. L'occasione è un summit per la pacificazione degli 11 anni di conflitto della Siria, il cosiddetto «Astana peace process», ma difficile pensare che Putin vi avrebbe dedicato la sua seconda visita all'estero (dopo il Tajikistan in giugno) dall'inizio della guerra ucraina, senza la rinnovata azione americana, con la prospettiva di un accordo sul petrolio del Golfo, il sostegno del rapporto fra Israele e i paesi arabi di un Accordo di Abramo allargato, e anche di una «Nato» araba di cui anche Israele farebbe parte. Oramai è tanto che se ne discute in segreto, gli arabi bene armati anche nei singoli stati, insieme e in alleanza con Israele, non avrebbero più da temere l'aggressività iraniana. Per questo Putin si muove: per cercare di spaventare lo schieramento dell'asse che minaccia la sua ambizione egemonica rispetto al mondo occidentale e orientale, specie con lo sviluppo ucraino.

È per questo che ieri, a fronte delle ottimiste anticipazioni di Biden sul suo viaggio, mentre il presidente comunicava il semplice messaggio: «Gli Usa sono nel futuro del Medio Oriente, da cui ci aspettiamo aiuto energetico e strategico; non ce ne siamo andati e anche «non siamo deboli, ma forti» Putin ha dato il via alla propaganda. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri, ha lanciato un attacco alla richiesta di Biden ai paesi dell'Opec di aumentare la produzione del petrolio, definendola una violazione della promessa agli elettori americani di un mondo più pulito e decabornizzato già nel 2035. La Zakharova ha unito subito alla critica una minaccia letale: Washington e i suoi alleati ci stanno portando diritti verso un conflitto nucleare a proposito della guerra in Ucraina, che non sembra vedere la fine. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha precisato ieri che per ora che la ripresa dei negoziati «è fuori questione». Sulla Nato araba è intervenuto dall'Iran il vicecapo delle Guardie Rivoluzionarie Yadollah Yavani minacciando una «risposta decisiva» contro le minacce americane e del regime sionista e dell'Arabia saudita.

Nella marea di notizie tossiche che precedono l'atterraggio di Biden plana anche quella per cui l'Iran fornirà alla Russia centinaia di droni e addestrerà la forze russe a usarli. Per ora, sono soprattutto gli Hezbollah che li lanciano senza successo contro Israele. Adesso possiamo cominciare a immaginarne l'uso sull'Ucraina: sempre droni iraniani saranno. La Turchia - che invece i suoi droni li fornisce all'Ucraina - sarà al summit voluto da Putin; il ministro degli esteri iraniano Amir Abdollahian ha visitato recentemente il Paese che ha condannato le sanzioni Usa all'Iran. Sergei Lavrov, il ministro degli esteri russo, dopo l'incontro di Teheran di giugno con la sua controparte ha detto di essere dalla parte dell'Iran nel richiedere la rimozione completa di tutte le sanzioni e il ripristino dei patti del 2015.

Un punto centrale per Teheran è la rimozione della Guardie Rivoluzionarie dalla lista delle organizzazioni terroriste, e Putin ha dichiarato di non volere accettare questo punto. I motivi di frizione si moltiplicano. Dietro le quinte, la Cina allarga la sua presenza sul Medio Oriente e l'Africa. La partita più che aperta, è una voragine: e non è pacifica.

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