Ci si chiedeva se Vladimir Putin sarebbe stato più o meno eversivo sulle domande su Donald Trump. E invece il presidente russo, nella «grande conferenza stampa» di fine anno, ha risposto eccome. «Se arriveranno i missili in Europa poi l'Occidente non strilli se noi reagiremo», ha detto in merito all'uscita degli Stati Uniti dal Trattato sui missili nucleari a medio raggio. Poi la profezia: «Stiamo assistendo al collasso del sistema internazionale di deterrenza», anche se «il mondo sta sottovalutando il pericolo di una guerra nucleare». In particolare, l'idea che starebbe prendendo piede in Occidente di «usare armi nucleari a bassa potenza per uso tattico» potrebbe portare a una «catastrofe globale» e, da lì, «alla morte della civiltà e del nostro pianeta».
Toni da guerra fredda nelle 3 ore e 43 minuti di conferenza (non un record, in passato si è arrivati anche a 4), che nell'ottica del numero uno del Cremlino giustificano l'utilizzo di forze di intelligence all'estero. E cioè i casi Skripal e Butina, per citare i più recenti. Secondo Putin sono tutte storie false, mirate a «contenere lo sviluppo della Russia come possibile rivale». «Non capisco di cosa possa riconoscersi colpevole Maria Butina - ha detto l'ex agente del Kgb a proposito della 30enne russa appena condannata negli Usa per aver agito come agente straniero in modo illegale -. La donna non ricopriva alcuna mansione per il governo russo e non ci sono basi per le accuse». Nello stesso modo ha liquidato la vicenda di Salisbury, dove a marzo l'ex spia sovietica Serghei Skripal e la figlia Yulia sono stati avvelenati con il gas novichok. «Se non ci fossero stati loro si sarebbero inventati qualcos'altro».
Il rapporto tra Mosca e Washington resta però ambiguo. La durezza di Putin sul nucleare e sull'appoggio statunitense alla separazione della chiesa ortodossa ucraina da quella russa è stata bilanciata da un'apertura sulla Siria. Due giorni fa gli Usa hanno annunciato il ritiro dei propri soldati dal Paese devastato da sette anni di conflitti, scelta motivata dalla «sconfitta» dell'Isis sul suolo siriano. Putin ha benedetto la decisione: «Donald ha ragione», ha decretato, chiamando semplicemente per nome il presidente americano, lasciando intendere un certo livello di confidenza (e ribadendo la disponibilità a incontrarlo, anche dopo il due di picche di Trump all'ultimo G20 di Buenos Aires). Secondo il presidente russo ormai si è imboccata «la via di una soluzione politica» per risolvere il caos di Damasco, precisamente i negoziati avviati da Russia, Iran e Turchia. Il fatto che Washington esca di scena non può che fare un favore a Mosca. Sul punto Putin si è concesso solo una provocazione: «Gli Stati Uniti sono in Afghanistan da 17 anni. Quasi ogni anno dicono che ritireranno le truppe e non l'hanno ancora fatto».
Di fronte ai 1.702 giornalisti russi e non - mai una cifra così alta - Putin ha però preferito esordire con alcuni dati economici. Innanzitutto il Pil, «cresciuto dell'1,7% negli ultimi dieci mesi». Poi la disoccupazione «scesa dal 5,2% del 2017 al 4,8 di quest'anno». Un tentativo di rassicurare i connazionali sullo stato non proprio salutare dell'economia russa, reduce da una lunga stagnazione dovuta al calo del prezzo del petrolio, al crollo del rublo e alle sanzioni occidentali. E, infilato tra una risposta e l'altra - i reporter da tradizione cercano di attirare l'attenzione con cartelloni, gadget e palloncini per accaparrarsi la domanda -, un auspicio: «La Russia ha le forze per entrare tra i primi campioni economici mondiali» e per guadagnarsi «il quinto posto», lasciando l'attuale dodicesimo (stima della Banca mondiale).
«Dobbiamo fare un salto nell'innovazione tecnologica, altrimenti non avremo futuro», ha detto Putin. E, a contare il numero di cyberattacchi di cui Mosca è accusata, anche ai livelli più alti, sembra che il «salto» sia già stato fatto.
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