Fece tutto Francesco Giorgi, il suo giovane assistente. Quella mail che sembra incastrare Andrea Cozzolino, deputato del Pd all'europarlamento, fu mandata all'insaputa del titolare dal suo brillante braccio destro. Perché Giorgi «come tutti i funzionari che collaborano con i membri di questo Parlamento, disponeva di ampia autonomia operativa».
Che questa autonomia si potesse spingere sino ad aprire le porte a decisioni a favore del Qatar, smentendo platealmente la linea seguita fino a quel momento dal gruppo dei Socialisti&Democratici sul rispetto dei diritti umani nel paese dei Mondiali, è probabilmente il vero tallone d'Achille nella linea difensiva di Cozzolino. Ieri, nella sua audizione davanti alla commissione giuridica dell'Europarlamento, il dem napoletano però è tornato a insistere: «il testo della mail inviata dal mio indirizzo di posta elettronica, prima dell'approvazione della mozione, avvenuta anche con il mio voto favorevole, è stato messo a punto e diffuso in totale autonomia e senza il mio preventivo assenso». Come «a mia totale insaputa», aggiunge Cozzolino, si svolgeva l'attività parallela di Giorgi - in combine con Antonio Panzeri - di lobbying e corruzioni sotto lo schermo della ong «Fight Impunity».
Nella sua appassionata autodifesa davanti alla Commissione, Cozzolino ha rivendicato di avere sempre votato in linea con il suo gruppo, di non avere mai ricevuto da Panzeri un solo euro, e di essere «da oltre un mese al centro di una violenta campagna di stampa, che sta devastando me e la mia famiglia sulla base di un mero sospetto». Ieri sapeva di non dover convincere nessuno, perché lui stesso - come conferma in apertura di seduta - rinuncia all'immunità parlamentare: che gli sarebbe stata revocata in ogni caso. La decisione della commissione e del plenum (il 31 gennaio e il 13 febbraio) sarà un okay ai giudici. Ma Cozzolino non rinuncia a dire che «dinanzi al nostro Parlamento nazionale, quello italiano, una richiesta di revoca dell'immunità siffatta sarebbe negata per la sua genericità». E mette in guardia i colleghi parlamentari, dicendo in sostanza: attenti perchè oggi tocca a me ma domani potrebbe toccare a voi. «Questo Parlamento dovrà prima o poi occuparsi in difesa della sua autonomia, che le indagini traggono origine dell'attività dei servizi segreti di diversi Stati, soprattutto non europei, che potrebbe riguardare, per quanto è generico e aleatorio, ogni e ciascun deputato per ogni e ciascuna attività svolta all'interno del parlamento europeo».
Che l'inchiesta possa toccare altri è d'altronde, a questo punto della vicenda, quasi una certezza. A dare corpo ai timori che circolano dopo l'annuncio che Panzeri ha scelto di collaborare con gli inquirenti in cambio di un robusto sconto di pena - e di vantaggi, come la rinuncia del Belgio alla traduzione della moglie e della figlia - dà corpo ieri il legale di Eva Kaili. «Arrivano messaggi e notizie» dice l'avvocato Michalis Dimitrakopoulos «che Panzeri farà alla giustizia belga nuovi nomi di eurodeputati». L'avvocato si spinge fino a indicare le nazionalità dei parlamentari che l'indagato-pentito si prepara a inguaiare: «italiani, tedeschi, belgi e francesi».
È la prova che ormai il gossip sulle rivelazioni dell'ex Pd si è fatto frenetico, la psicosi da confessione agita - soprattutto nell'area di riferimento di Panzeri - l'assemblea di Strasburgo. Oggi, intanto, gli investigatori belgi che si occupano del caso Qatargate incontreranno i vertici della procura di Milano interessata, di rimando, della vicenda che riguarda presunti casi di corruzione.
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