
Ci sono momenti in cui il cielo si spegne. Non è una metafora, è proprio così: all'improvviso si smarriscono i segnali, i radar diventano ciechi, le torri di controllo si parlano a gesti, come se fossero tornate ai tempi del semaforo navale. E noi, creature moderne che confidano negli algoritmi più della propria ombra, scopriamo che basta un guasto, un cortocircuito, un software confuso per far tremare l'illusione della sicurezza. È successo di nuovo. Un guasto al centro radar di Milano ha bloccato per ore lo spazio aereo del Nord-Ovest italiano. Decolli sospesi, voli dirottati, aerei che girano a vuoto sopra le nostre teste. E nessuno sa bene cosa stia succedendo. Solo una parola si propaga veloce, come un'eco tra le cabine: blackout.
La paura non sta nell'incidente, che non c'è stato. Sta nell'assenza. Nel vuoto. Nella perdita del controllo. Perché tutto quello che non vediamo ci sembra più vicino. È l'angoscia antica di chi teme il buio, traslata nel linguaggio degli uomini connessi. Il blackout del radar non è solo un problema tecnico: è una crepa nell'immaginario, una falla nella nostra religione del monitoraggio. Viviamo sorvegliati, registrati, tracciati. Ma se il radar si spegne, smettiamo di esistere.
Negli ultimi venticinque anni l'Europa ha vissuto diversi di questi momenti. Nel 2014, il sistema NATS inglese andò in tilt per un errore banale, un singolo dato che impediva il passaggio al nuovo turno operativo. Voli cancellati, Heathrow paralizzato, milioni di sterline in fumo. I tecnici parlarono di fail-safe, di protezione automatica, come se fosse una scusa e non una confessione.
Nel 2010 non fu un blackout digitale, ma naturale: l'eruzione dell'Eyjafjallajökull in Islanda oscurò il cielo d'Europa. Per sei giorni nessuno volò. Per paura. Non c'era una regola, non c'era un protocollo, solo un gigantesco non sappiamo cosa succede. A maggio del 2025, Parigi-Orly ha vissuto il suo momento di buio. Un problema al radar primario ha provocato la cancellazione di oltre 130 voli. Il traffico era lì, sulle piste, ma nessuno poteva vedere dove andava. La Francia è il cuore dell'Europa radarizzata, eppure è bastato un glitch, una scintilla invisibile, per farci tornare all'età della nebbia. E oggi, in Italia, il copione si ripete. Ma non siamo più stupiti. È questo il vero problema. Ci stiamo abituando al collasso. Il blackout radar non è una notizia da cronaca. È una metafora esatta del nostro tempo.
Viviamo nell'ossessione del controllo, ma abbiamo paura del silenzio. Temiamo l'istante in cui nessuno ci vede. E se non ci vede nessuno, allora siamo perduti. E che l'unica vera sicurezza è sapere che può succedere ancora. E succederà.