I l tema, alla fine, è semplice: il Partito democratico è pronto a sacrificare un principio di civiltà giuridica sull'altare dell'alleanza con i 5 Stelle? A quarantott'ore dall'entrata in vigore, avvenuta a Capodanno, della «riforma Bonafede», ovvero alla abolizione di fatto della prescrizione, le possibilità di varare in tempi brevi una nuova legge che ne elimini o almeno riduca l'impatto sono affidati alla linea che il partito di Zingaretti intende seguire sul delicato fronte della giustizia. E i segnali non inducono all'ottimismo. Tra il rischio di elezioni anticipate e la certezza di processi infiniti, il Pd sceglierà la seconda opzione.
Il vertice di maggioranza in cui andrà cercata una mediazione in seno al governo è fissato per lunedì prossimo. Nei quattro giorni che mancano alla riunione, le trattative sotterranee andranno avanti, alla ricerca di un improbabile accordo tra le due principali anime del governo. Una cosa appare chiara: per i grillini l'entrata in vigore della riforma Bonafede è un trofeo da sventolare in ogni modo, una bandiera identitaria che segna uno tra i pochi risultati concreti in quasi due anni di governo. Difficile che possano ammainarlo, soprattutto se da parte del Pd arrivano proclami non proprio battaglieri come quello con cui Walter Verini, responsabile Giustizia, ha presentato nei giorni scorsi la nuova proposta: «Non siamo rigidi», fa sapere ai 5 Stelle l'esponente piddino «sediamoci intorno a un tavolo e ragioniamo»: un po' poco per incutere soggezione agli alleati.
La nuova proposta del Pd, che allunga fino al massimo di tre anni e mezzo i vecchi termini di prescrizione, è d'altronde inaccettabile per i grillini, che - in linea con l'ala oltranzista della magistratura, ormai maggioritaria in seno all'Anm - considerano la riforma Bonafede una conquista da cui non si torna indietro. E del consenso delle toghe (da cui, incredibilmente, non si leva una sola critica verso una legge considerata incostituzionale dall'intero contesto accademico italiano) il ministro grillino si fa forte per rintuzzare i malumori del Pd.
In questo contesto, l'unica variabile in grado davvero di scompaginare le carte continua ad essere il disegno di legge presentato dal forzista Enrico Costa, che con un solo articolo azzera l'intera riforma Bonafede. Su questa proposta sono schierate in questo momento tutte le opposizioni: compresa la Lega, che pure quando era al governo aveva votato la legge di Bonafede senza troppi tentennamenti, assicurando che sarebbe stata accompagnata da misure (mai arrivate) di accelerazione dei processi. Ma ai voti dell'opposizione il progetto Costa potrebbe aggiungere quelli di Italia viva, che a differenza del Pd sul tema della prescrizione sembra decisa a fare la voce grossa.
Se Matteo Renzi è disposto su questo tema a mettere in crisi l'alleanza di governo lo si vedrà nei prossimi giorni. L'opposizione sembra crederci, al punto che ieri Mariastella Gelmini chiede con una lettera al presidente della Camera Roberto Fico di mettere in calendario la discussione in aula della legge Costa per il 13 gennaio, alla prima seduta utile: «Basta tergiversare - dice la Gelmini -.
Il Parlamento venga messo in condizione di esaminare e votare». E chissà che in quella sede non si riesca a capire l'orientamento del quarto partito di governo, la pattuglia di Leu: il leader Pietro Grasso è un fan della riforma Bonafede, ma nel partito c'è chi brontola assai.
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