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Quei cento giudici che fanno casta: agli amministrativi è permesso tutto

Il saggio punta i riflettori su un gruppo ristretto di magistrati, dai Tar al Consiglio di Stato. Rizzo: "Sono legati alla politica, spesso sono nei posti chiave dei ministeri e ricevono incarichi extra"

Quei cento giudici che fanno casta: agli amministrativi è permesso tutto

Un potere dentro il potere, una Casta con la toga impelagata in profondità col mondo della politica e degli affari in un viluppo di clamorosi conflitti di interesse: è il sistema della giustizia amministrativa, poche centinaia di magistrati che - dai Tar regionali fino al Consiglio di Stato - dettano legge fuori da ogni controllo. È questo il quadro desolante che ne traccia Sergio Rizzo in Potere assoluto, il saggio in uscita in questi giorni per Solferino. E che dal marcio nella giustizia penale, dal degrado nelle correnti e nelle Procure raccontato dal caso Palamara, sposta l'attenzione verso un mondo di cui invece si è sempre parlato poco.

«L'idea del libro - racconta Rizzo - nasce proprio dalle percezione che di questo mondo si sappia pochissimo. Eppure è un crocevia decisivo. Da una parte i giudici amministrativi si muovono al di fuori di ogni controllo, rendendo conto solo a se stessi; dall'altra sono però legati da un cordone ombelicale al mondo della politica». A fare di questi magistrati poco noti dei personaggi decisivi c'è anche il fatto che sono spesso loro a costituire l'ossatura del potere esecutivo. «Forse non tutti lo sanno - dice ancora Rizzo - ma in buona parte dei posti chiave dei ministeri e del governo ci sono giudici amministrativi: persino l'attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, una delle figure chiave dell'esecutivo, è un giudice del Consiglio di Stato. Sono dentro gli uffici legislativi dei ministeri, scrivono le norme che loro stessi poi sono chiamati ad applicare. Le loro carriere incrociano quelle della politica e ovviamente ne vengono condizionate. La cosa incredibile è che mentre lavorano nei ministeri continuano a maturare anzianità come magistrati e ad avere avanzamenti di carriera».

Tra i privilegi dei magistrati amministrativi c'è la possibilità di svolgere incarichi stragiudiziari: possono insegnare nelle scuole, possono fare arbitrati. Quasi grottesco è il quadro che in Potere assoluto viene tracciato del funzionamento della giustizia sportiva, anch'essa affidata in buona parte a giudici amministrativi. Sono incarichi quasi sempre non retribuiti, si dirà. Ma nei tribunali del Coni e delle federazioni i giudici siedono insieme agli avvocati, si crea una contiguità, una colleganza tra figure che il giorno dopo, in una udienza davanti al Tar o al Consiglio di Stato, dovrebbero essere ben distanti. «Si tenga presente - chiosa Rizzo - che il mondo della giustizia amministrativa è un microcosmo dove tutti conoscono tutti e tenere i ruoli separati sarebbe decisivo. Quanti sanno che il presidente del comitato di sorveglianza di Alitalia è anche segretario del Consiglio di Stato?».

Consigliere di Stato era il giudice Francesco Bellomo, diventato famoso per come gestiva le scuole per aspiranti magistrati. «Ma non è un caso isolato, a Bari mogli di giudici amministrativi hanno partecipazioni in case editrici che stampano i libri... Avere frequentato i corsi di un giudice importante è un titolo che i regoli non prevedono ma che pesa comunque».

Il libro punta il dito contro il funzionamento del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il Csm dei giudici amministrativi, che sembra condividere - nella sostanza se non nella forma - le storture del Csm ordinario. E ad accomunare le due categorie di giudici è anche il sistema delle «porte girevoli», con giudici che vanno in politica, poi rimettono la toga e danno torto alla parte avversa. Rizzo racconta il caso di Goffredo Zaccardi, che dopo aver lavorato per i governi Prodi e D'Alema tornò in servizio e annullò le elezioni in Molise vinte dal centrodestra. Caso non dissimile, ricorda, da quello del giudice Giancarlo Sinisi che dopo tre legislature in Parlamento per la sinistra tornò in magistratura.

E condannò Augusto Minzolini, allora senatore di Forza Italia.

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