Nella memoria dei meno giovani, il nome di Yuri Andropov, segretario generale del partito comunista sovietico per meno di 15 mesi fino alla sua morte avvenuta nel febbraio del 1984, è legato inscindibilmente al leggendario «raffreddore» che lo portò alla tomba. Si tratta di una delle più clamorose bugie della propaganda russa, eppure, durante il breve regno di Andropov si ebbe l'occasione di diffonderne un'altra non meno assurda: l'assicurazione al mondo intero che il Cremlino nulla sapeva dell'abbattimento, avvenuto il 1° settembre 1983 nello spazio aereo dell'Urss, di un volo civile sudcoreano. Di quella strage, causata da un missile aria-aria sovietico e costata la vita a 269 persone, Mosca si assunse una parziale responsabilità solo cinque giorni dopo, quando ormai negare l'evidenza era diventato impossibile.
Ricorda nulla di recentemente accaduto dalle parti di Teheran? Dovrebbe. Una sfacciataggine simile a quella sfoggiata dalla Russia putiniana nel luglio 2014, quando un altro aereo civile, questa volta malese e con a bordo quasi 400 turisti in gran parte olandesi, fu disintegrato da un missile partito dai territori controllati dalle milizie filorusse del Donbass ucraino. Il punto in comune è il problema che i regimi autocratici hanno con la gestione della verità. Siccome raccontarla in modo trasparente minerebbe le fondamenta stessa del loro potere, scelgono di falsificarla, a volte con effetti grotteschi, come nel caso della malattia mortale di Andropov, altre volte drammatici. Così nell'aprile del 1985, quando uno dei reattori dell'obsoleta centrale atomica di Chernobyl in Ucraina esplose provocando una catastrofe senza precedenti, la reazione del sistema sovietico per tentare di sminuirne la portata era stata una catena di ciniche bugie pari solo a quella degli incredibili errori umani che l'avevano causata. Oggi sappiamo che fu l'enorme discredito gettato sul regime dalla gestione di quell'evento a indurre l'ultimo leader dell'Urss Mikhail Gorbaciov a lanciare una campagna di rinnovamento (Perestroika) basata sulla trasparenza (Glasnost), ovvero sulla verità, della quale evidentemente si sentiva molto la mancanza, e che non mancò di lì a breve di essere la concausa del collasso del sistema sovietico. Ma ancor oggi in Russia si parla malvolentieri del bilancio del disastro di Chernobyl, stimato a spanne in quasi 10mila morti.
In questi giorni siamo alle prese con la preoccupante vicenda del misterioso coronavirus cinese della polmonite. Dopo prolungate reticenze e minimizzazioni, il regime di Pechino ammette la gravità della situazione, assicura (in ritardo) massima collaborazione con le autorità sanitarie internazionali e promette di punire i funzionari comunisti responsabili.
È lo stesso disco rotto già fatto suonare negli anni scorsi dai cinesi in occasione del diffondersi di simili contagi, prima la Sars e poi la Mers. È cambiato qualcosa? Niente, siamo ancora qui con le mascherine sul viso a sentirci raccontare balle.
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