Quei segnali dei "poteri forti" che preoccupano Palazzo Chigi

In tre settimane, filotto di FT, Bloomberg, Economist e Cnbc mentre Roma tratta in Ue la riforma del Patto di stabilità

Quei segnali dei "poteri forti" che preoccupano Palazzo Chigi
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Piccoli segnali, ma da non sottovalutare. E mettere in fila uno dietro l'altro, per provare a capire se siano solo il frutto del caso o se nascondano un possibile cambio di passo nella percezione che ha l'establishment internazionale del governo italiano. A Palazzo Chigi, infatti, non è passata inosservata la sequenza di critiche e dubbi che sono rimbalzati nelle ultime tre settimane sulle grandi testate economiche europee e americane. Un filotto che dalla seconda settimana di agosto ha visto Financial Times, Bloomberg, Cnbc, The Economist e ieri di nuovo il FT mettere in dubbio la strategia economica dell'esecutivo italiano e la sostenibilità a lungo termine del nostro debito pubblico. Un cambio di passo arrivato dopo la decisione del Consiglio dei ministri di introdurre la tassa sugli extra-profitti delle banche e l'intervento sulle tariffe delle compagnie aeree low cost. Due iniziative che hanno allarmato gli investitori internazionali e che hanno trovato grande risalto sulla stampa specializzata, che ora monitora con attenzione le prossime mosse di Palazzo Chigi sia sul fronte della legge di Bilancio che su quello della trattativa in corso a Bruxelles per riformare il Patto di stabilità prima che le vecchie (e stringenti) regole di bilancio pre-Covid rientrino in vigore il primo di gennaio.

Tra i ministri c'è chi derubrica la cosa senza dargli troppo importanza, convinto che l'elemento scatenante sia soprattutto l'imposta sugli extra-profitti bancari e il confronto in corso sulla nuova normativa per i crediti deteriorati (o Non-performing loans, Npl). Il timore degli investitori internazionali, insomma, è che l'Italia possa non offrire certezze sul quadro regolatorio.

Poi, però, c'è anche chi teme che la sequenza agostana possa essere un segnale della «bolla di Bruxelles» che inizia a veicolare segnali prima che il confronto sul Patto di stabilità arrivi al dunque. Il 15 e 16 settembre, infatti, è in agenda l'Ecofin - la riunione dei ministri dell'Economia e delle Finanze dell'Ue - e sarà quella l'occasione per fare il punto sulle diverse posizioni in campo, con la Germania alla testa dei cosiddetti rigoristi e l'Italia che auspica un approccio più flessibile. La questione, peraltro, sarà uno dei temi sul tavolo del bilaterale che proprio oggi Giorgia Meloni avrà ad Atene con il premier greco Kyriakos Mitsotakis (la Grecia, afflitta dal primo debito pubblico dell'Ue e seguita da Italia, Portogallo, Spagna e Francia, ha sul punto posizioni molto vicine alle nostre). Insomma, nella maggioranza c'è anche chi teme che la sequenza agostana non sia solo il frutto dei timori degli investitori internazionali, ma sia anche il termometro di altro. D'altra parte, in Italia è già accaduto in passato che governi in carica siano stati fortemente condizionati da fattori esterni.

A Bruxelles, peraltro, la riforma delle regole che disciplinano il bilancio degli Stati membri si incrocia ad altre e delicate partite che l'Italia sta giocando. Quella della ratifica del Mes, che a novembre tornerà in Parlamento dopo la sospensiva di quattro mesi approvata alla Camera lo scorso 5 luglio. Ma anche il fronte del Pnrr, su cui ieri il Financial Times è tornato a manifestare dubbi. L'Italia, scrive il quotidiano della City londinese, «ha faticato a tenere il passo con l'impegnativo calendario di riforme e investimenti concordato con Bruxelles nel 2021, in particolare da quando la coalizione di destra di Meloni è andata al governo lo scorso anno». Proprio questo, secondo FT, avrebbe «ravvivato le preoccupazioni di lunga data sulle capacità di Roma di portare avanti le riforme promesse e utilizzare efficacemente la liquidità ottenuta».

Un ragionamento non nuovo e che in più occasioni - anche nelle interlocuzioni dirette con la Commissione Ue - a Palazzo Chigi hanno rimandato al mittente, esattamente in forza del fatto che - come ha ricordato la scorsa settimana il ministro Raffaele Fitto davanti alla platea del Meeting di Rimini - l'attuale esecutivo ha ereditato un Pnrr già scritto dai due precedenti governi e, nonostante questo, al 31 dicembre l'Italia si troverà ad aver ricevuto tutti i finanziamenti previsti per il 2023 (non cambia l'importo complessivo che verserà Bruxelles, ma solo la ripartizione tra terza e quarta rata).

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