Quelle accuse "illogiche" a Scaroni su Eni-Algeria

Quelle accuse "illogiche" a Scaroni su Eni-Algeria

C'è un «insanabile contrasto logico» tra le accuse a Paolo Scaroni e i dati di fatto emersi nel corso del processo per gli affari di Eni in Algeria: lo scrivono i giudici del tribunale che il 19 settembre ha assolto l'ex amministratore delegato del gruppo petrolifero di Stato dall'accusa di corruzione internazionale per le presunte tangenti che avrebbe pagato a esponenti del governo algerino per espandere la presenza del «cane a sei zampe» nel paese. Il capo d'accusa che il pm Fabio De Pasquale aveva contestato a Scaroni, secondo le motivazioni della sentenza (depositate ieri) è basato solo sulle dichiarazioni di un «pentito» non confermate - e anzi smentite - dalla risultanze di fatto.

Al centro del processo c'era l'acquisizione da parte di Eni nel settembre 2009 di una azienda canadese titolare di un contratto di esplorazione e estrazione di gas in Algeria. Per oliare l'operazione e strappare condizioni più vantaggiose, Scaroni - secondo la Procura milanese - avrebbe corrotto il ministro dell'energia algerino, Chakib Khelil, e il suo entourage, incontrando a più riprese il ministro proprio a questo fine.

Che gli incontri vi siano stati, i giudici lo danno per assodato, e maltrattano i tentativi Eni di ridimensionare la loro portata («Davvero si vuol far credere al tribunale che Scaroni venisse interessato della richiesta di trovare dei biglietti per la prima della Scala?»). Ma della tangente da 41 milioni che secondo Pietro Varone, ex funzionario di Eni, avrebbe accompagnato la trattativa non c'è traccia. La disponibilità mostrata dal ministro Khelil per coinvolgere Eni nello sfruttamento del giacimento si spiega semplicemente con l'interesse del suo paese: «Il comprovato favore del ministro potrebbe rispondere ad esigenze di natura diversa, coincidenti peraltro anche al comprovato interesse per l'Algeria di mettere in produzione celermente il blocco (...) con il suo sviluppo il Paese avrebbe incrementato in maniera significativa il Pil per i successivi trent'anni». Nella loro requisitoria i pm avevano chiesto per Scaroni sei anni di carcere.

Sussiste invece l'altro capo di accusa al centro del

processo, che riguardava però solo la Saipem, consociata Eni, e che ha portato alla condanna dell'ex amministratore delegato Pietro Tali: ma «non è dato rinvenire un qualche coinvolgimento di Eni in tale episodio corruttivo».

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