Rispetto alla narrazione della parola scritta, l'immagine ha una rapidità di comunicazione di gran lunga superiore e ha la possibilità di parlare, pur con registri diversi, a un pubblico disomogeneo per cultura e storia, con una forza evocativa di grande effetto. Si pensi, ad esempio, all'immenso potere delle opere pittoriche nel diffondere il messaggio di Cristo a popolazioni della terra poco istruite e di tradizioni differenti.
Dalla pittura alla fotografia il passo è semplice anche se richiede una complessa tecnologia e una nuova mentalità estetica. La fotografia rispetto alla pittura offre una suggestione di verità, generata da quella rappresentazione mimetica della natura che l'arte, fin dalle sue origini, ha cercato di esprimere.
L'immediatezza della comunicazione attraverso l'immagine porta con sé anche un'inevitabile pluralità - o ambiguità - interpretativa dei segni che la compongono. Anche la fotografia che ritrae nel modo più fedele la realtà ha un carattere simbolico, cioè si compone di più segni, di più figure. La parola «simbolo», nella sua originaria accezione greca, significa, appunto, mettere insieme, tenere unito. Caratteristica essenziale di un'immagine è, quindi, la pluralità di sfumature interpretative.
Anche la narrazione scritta può presentare un grado più o meno intenso di simbolicità e, perciò, di variabili interpretative. Ma alcuni narratori non amano affatto la scrittura simbolica e cercano piuttosto di esprimersi attraverso un modello - così si dice - metonimico della scrittura, cioè quello più corrispondente alla cosa descritta, senza sfumature simboliche o metaforiche. Grandi scrittori simbolici sono i romantici: per Novalis, un fiore reciso non sarà mai, soltanto, un fiore reciso. Mentre, però, la scrittura può essere governata dagli orientamenti estetici che si intende seguire, è quasi impossibile rendere l'immagine del tutto priva di suggestioni interpretative che vanno oltre ciò che semplicemente essa rappresenta. Un'immagine innanzitutto emoziona, e tanto più ci soffermiamo a guardarla, quanto più essa tocca in profondità i nostri sentimenti.
Oggi siamo pervasi da immagini dell'orrore. Ad ogni attentato c'è una gara per pubblicare, mettere in rete le fotografie più crude. Un compiacimento pornografico dell'orrore, reso facile dai telefonini e da Internet. La realtà va documentata - si proclama ai quattro venti; le fotografie e ogni genere d'immagine fanno conoscere la realtà.
Tesi in apparenza corrette, ma esprimono mezze verità perché le immagini s'interpretano, e poiché sollecitano le emozioni, la conoscenza della realtà non avviene attraverso un processo razionale, ma essenzialmente sentimentale. Le foto di una testa mozzata da un integralista islamico può essere usata per generare il disgusto, la più ferma condanna da parte di chi osserva, ma poi non è dato sapere quale sia - in quell'osservatore - la successione di sensazioni irrazionali provocate da quell'immagine. Una persona emotivamente fragile di fronte a quella foto è in balia di se stessa, e in una situazione complessa e delicata come quella che si sta vivendo, non è sbagliato controllare il livello di suggestione emotiva che le immagini dell'orrore provocano.
La
narrazione della realtà attraverso la parola scritta può far conoscere molto bene la verità dei fatti attraverso processi comunicativi razionali. Solo che bisogna saper scrivere, cosa più complicata di uno scatto del telefonino.
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