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In questa tragedia muore l'idea di Europa unita

La crisi ellenica ha inflitto un danno irreparabile alla Ue. Oggi un terzo dei suoi cittadini è pronto a rinnegarla

In questa tragedia muore l'idea di Europa unita

Qui c'è in ballo l'Unione Europea», ha detto senza mezzi termini Martin Schultz, il presidente tedesco del Parlamento di Strasburgo, che Berlusconi accusò una volta di comportarsi come un kapò. E nelle stesse ore la sua connazionale, la cancelliera Angela Merkel, ha spiegato anche il perché: «Si è perduta - ha detto - la valuta più importante, che è la fiducia». Le due dichiarazioni hanno confermato che, comunque vada a finire, la crisi greca ha inflitto un danno forse irreparabile alla Ue, o almeno a quella sua parte che 23 anni fa ha deciso di adottare la moneta unica. Sapevamo tutti, da tempo, che questa moneta era nata male, perché priva di una governance adeguata, e che si reggeva fino a quando i Paesi aderenti rispettavano certi codici di comportamento e trovavano il modo rimediare con decisioni assunte di volta in volta a una configurazione istituzionale fin dall'inizio deficitaria. Nel caos che la vicenda greca ha creato, il giocattolo sembra essersi rotto, coinvolgendo non solo la moneta unica, ma mettendo in discussione l'idea stessa di Europa, proprio nel momento in cui viene contestata sempre più violentemente dai partiti populisti di destra e di sinistra. L'ultimo esempio di quanto diversa sia ormai questa idea nei vari Paesi si è avuto ieri, quando a Bruxelles c'è stato uno scontro di una durezza senza precedenti tra i falchi (Germania e Paesi nordici e orientali in testa) disposti a lasciare affondare Atene perché per troppe volte aveva violato i patti, truccato le cifre o addirittura preso in giro i suoi partner; e le colombe (Francia, Italia, Lussemburgo e, senza molta convinzione, Spagna e Malta) che ritengono che nonostante le sue colpe la Grecia rimanga, storicamente e culturalmente, oltre che sul piano geopolitico e strategico, una parte essenziale dell'Europa e che perciò vada salvata in ogni modo, nonostante costi che crescono di giorno in giorno.

Se vogliamo, l'Ue ha attraversato momenti anche peggiori, per esempio quando Francia e Olanda, due dei Paesi fondatori, respinsero per referendum il progetto di Costituzione, ma non abbiamo mai assistito a una prova di fragilità come quella attuale, perché lo scontro, di mentalità oltre che di decisioni operative, si estende contemporaneamente ad altri argomenti non meno delicati di quello greco: una gestione collettiva dei profughi, il mantenimento delle sanzioni all'Ucraina.

La Merkel ha molte colpe ma ha ragione quando dice che alla radice della crisi mette la scomparsa della fiducia. Ieri ne abbiamo avuto un esempio addirittura clamoroso, quando l'Eurogruppo ha posto come condizione per avviare i negoziati per il salvataggio della Grecia che questa approvi definitivamente in tre giorni (tre giorni!) quattro delle riforme incluse da Tsipras in un piano più pesante per il suo Paese di quello bocciato dal referendum, e che in condizioni normali richiederebbero almeno sei mesi di lavori parlamentari.

Tutto questo mette la cancelliera in una situazione molto delicata. Ella è, in primo luogo, la leader di una Germania il cui elettorato ha orientamenti precisi, interpretati benissimo dal suo ministro delle Finanze Schaeuble e ora diffusi anche tra i suoi alleati di coalizione socialdemocratici. Ma, nello stesso tempo, la Merkel è anche la leader universalmente riconosciuta di un'Europa che deve cercare di tenere unita a tutti i costi se non vuole passare alla storia come la sua affossatrice: e in certe situazioni, conciliare le due «parti in commedia» è, se non impossibile, certamente molto difficile, specie ora che il tradizionale asse con la Francia scricchiola da fare paura.

Fino a ora, la storia ci dice che la Comunità, poi Unione europea, è sempre uscita dalle crisi più forte, nel senso che ha avuto il coraggio di adeguare le proprie istituzioni alle situazioni nuove.

Può darsi che ci riesca anche stavolta, ma le condizioni sono molto più difficili, nel senso che, grosso modo, oggi c'è un terzo dei suoi cittadini che la vorrebbe addirittura rinnegare.

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