La rabbia degli sfollati: doveva durare cent'anni...

Più di 300 nuclei familiari hanno lasciato le loro case costruite sotto il ponte per essere risistemati

La rabbia degli sfollati: doveva durare cent'anni...

«Siamo usciti così com'eravamo vestiti, senza il tempo di prendere niente, appena abbiamo sentito quel boato che non mi dimenticherò più. E non abbiamo potuto più rientrare a casa. Ci siamo arrangiati per il resto, ospiti di nostra figlia, abbiamo comprato qualche vestito, quello che ci serviva. Il ponte io l'ho visto costruire. Viviamo lì da sempre, noi siamo in affitto e ora non sappiamo come fare».

Gianni lo racconta e mentre lo fa la voce gli trema ancora: 72 anni, lui insieme alla moglie è uno dei 611 residenti sfollati dalle abitazioni di via Porro e via Fillak a Genova dopo il disastro di Ponte Morandi che cedendo ha lasciato ammutolita una città; 39 vittime tra cui una ancora non identificata, tra chi è caduto nel vuoto insieme a 200 metri di viadotto e chi si trovava sotto il ponte, in Val Polcevera, per strada al lavoro o nella sua abitazione. E guardando le case, letteralmente all'ombra del ponte, si può pensare che per chi vive lì poteva andare peggio. Tra i 15 feriti c'è anche una residente: i detriti del Morandi hanno colpito la sua casa di striscio, finendo nell'appartamento, danneggiando con ogni probabilità un impianto dal quale si è scatenato un incendio. La donna è rimasta intossicata ed è ricoverata al pronto soccorso dell'ospedale San Martino di Genova.

Sono 311 in tutto i nuclei familiari sfollati dai palazzi, in via Porro il provvedimento ha riguardato i civici 6, 6a, 8 e poi il 10, 12, 14, 16, 5, 7 e 9. In via del Campasso sono invece stati allontanati gli abitanti dei civici 39 e 41. Il comune per accoglierli ha messo a disposizione il centro civico Buranello di Sampierdarena, che ha fatto anche da punto di raccordo per informazioni pratiche, e poi ha messo in campo una collaborazione con gli alberghi genovesi che hanno dato la disponibilità ad ospitare le persone costrette a lasciare la propria abitazione.

Martedì il quartiere è rimasto in silenzio per ore: a decine i residenti si sono raccolti dal pomeriggio a notte fonda sulle sponde del torrente Polcevera, nelle aree accessibili, per assistere alle prime operazioni di soccorso, con gli occhi all'insù verso il vuoto muto lasciato da quel ponte. Poi è arrivato il momento della rabbia: «Ci avevano detto che il ponte poteva durare 100 anni. Se lo ricostruiranno chi ci salirà più?».

A 72 ore dalla tragedia il quartiere è tagliato in due: le principali direttrici della viabilità cittadina che lungo l'argine attraversavano da sotto le sue volte sono impercorribili, da nord a sud, le strade tra cui via Argine Polcevera sono bloccate, presidiate dalle forze dell'ordine nel timore dell'eventuale cedimento di quanto resta del ponte.

«Ci tengo a dire sul tema degli sfollati che in questo momento tutti sono in qualche modo sistemati - ha garantito il presidente di Regione Liguria Giovanni Toti ieri pomeriggio in una conferenza stampa per fare il punto della situazione -. Nessuno dorme nel centro di prima accoglienza, usato però per informazioni e pasti a chi in questo momento di difficoltà è ospite negli alberghi. Entro fine ottobre avremo a disposizione alloggi per tutti coloro che oggi hanno perso la casa».

E proprio sulle case è stata creata una task force da Regione Liguria, Comune di Genova e Arte, l'azienda territoriale regionale per l'edilizia, per predisporre un piano di emergenza.

Quarantacinque alloggi, messi a disposizione da Comune e la stessa Arte, verranno messi a disposizione da subito per altrettanti nuclei familiari sfollati. Saranno i vigili del fuoco invece a dare l'autorizzazione alle famiglie per il ritiro del mobilio dagli appartamenti inagibili.

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